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giovedì 1 ottobre 2009

J. G. Ballard

Seconda pagina - Rassegna pop


di Alfredo Sgarlato.

L’anno scorso ho letto tutti i racconti di JG Ballard, uno dei miei scrittori preferiti. I più belli sono quelli ambientati a Vermillions Sands, bizzarro universo parallelo. Questa primavera Ballard è morto. ho pensato di fargli omaggio scrivendo un racconto alla sua maniera ADDIO A VERMILLION SANDS Non so se sia stato un privilegio o una disgrazia essere presente agli ultimi giorni di Vermillion Sands. Da tempo quella che una volta era la più prestigiosa località turistica si era trasformata in un decadente museo. La gran parte della popolazione se ne era andata. Sulle grandi spiagge che facevano un tutt’uno col deserto si aggiravano solo vecchi freaks, di quelli che avevano rilanciato la moda degli abiti ecologici inerti, firmati ma comprati sulle bancarelle degli stracciai. Tra le dune le automobili distrutte in incidenti e abbandonate servivano da alcova per adolescenti alle prime esperienze sessuali. Eppure quel posto aveva tuttora il suo fascino e molte personalità continuavano a sceglierla come buen retiro. Nel quartiere dove avevo affittato una casa psicotropa, vivevano ancora bizzarre vecchie glorie, attrici come Marylin Monroe o Jean Seberg, dimenticate dal pubblico e dagli studios quando la loro bellezza era sfiorita. Orlan, l’artista concettuale che trasformava in performance le proprie operazioni chirurgiche. Strani personaggi come Ronald Reagan, mediocre attore che aveva tentato la carriera politica ed era stato clamorosamente sconfitto da un giovane avvocato liberal, Ralph Nader. O scrittori come P.K. Dick e J.G. Ballard, desiderosi di sfuggire al grande successo dei film tratti dai loro romanzi. Lì avevo anche aperto un negozio di profumi sonori. Una mattina nel mio negozio entrò Costanza Leiber, una delle molte dive che avevano vissuto una stagione di gloria per poi sparire. Non riuscivo a darle un età: aveva i capelli bianchissimi; il volto, grazie alla chirurgia plastica, era rimasto quello di un adolescente, mentre il corpo cominciava a mostrare le pesantezze della mezza età. Eppure manteneva un grande fascino. Cominciò a venire spesso nel mio negozio. Prediligeva le fragranze percussive e balcaniche nello stile di Bartok e Stravinsky, ma nella sua eccentricità sceglieva persino gli aromi meno adatti ad una signora, come il profumo acido e tagliente di band tra post-punk e psichedelia. Un giorno mi fece una strana domanda: Lei ha la patente? Si, perché? – risposi – il mio autista è diventato inaffidabile, colpa della cocaina – mi disse lei. Accettai la sua proposta. Costanza soffriva di insonnia e voleva che la portassi in giro tutta la notte. Non era un problema, perché a Vermillion Sands nessuno sarebbe mai entrato in un negozio prima delle 5 del pomeriggio, e quindi potevo recuperare. Costanza durante i tour parlava ininterrottamente, spesso bevendo gin. I suoi aneddoti erano confusi, molte volte ripeteva lo stesso racconto variando il ruolo dei personaggi. Una notte qualcuno ci tirò un sasso. “quelle connerie”, commentò la diva, mostrandosi più annoiata che altro. Il fatto si ripetè e non ci volle molto a capire chi fosse. L’Autista ci seguiva. Aveva anche una pistola, ma si limitava a prendere la mira, in genere verso l’infinito, con pose plastiche, in una patetica imitazione di James Bond. Non so dire che rapporto ci fosse tra noi due. Forse, semplicemente, la sua voce monotona (cosa ben strana per un’attrice) mi ipnotizzava. Ma dopo un po’ le nostre gite cominciarono ad essere difficoltose. Continue raffiche di vento infastidivano la località. Se i surfisti erano felici (anche se un paio erano annegati), residenti e turisti erano sempre più infastiditi dal mutamento climatico. A un certo punto anche i tradizionali show di biplani acrobatici dovettero essere sospesi. La notte il vento non diminuiva, anzi, spesso fischiava più forte. Quando si alzava anche la sabbia diventava difficile vedere e quindi dovevamo fermarci. La cosa sembrava lasciare indifferente Costanza, a cui bastava poter sdilinquirsi nei suoi lunghi monologhi in mia presenza. Ben presto anche i surfisti fuggirono e ad abitare Vermillion Sands rimase solo la bizzarra folla dei dropouts. Del clima cambiato e del vento distruttore non pareva importasse granchè. Io e Costanza litigammo. Lei voleva continuare le gite notturne. Ma non vedi- ribattevo io- come il vento sta distruggendo tutto, i cornicioni che cadono, le statue canore abbattute? E allora? Qui non siamo già tutti dei caduti? Mi rispose lei. Non seppi dirle di no e continuammo a girare in macchina, ormai senza fare più soste, dato che il mio negozio non esisteva più, come bar, alberghi, ristoranti, e di tutto ciò non fregava niente a nessuno. Quando le tromba d’aria definitiva arrivò mi ribellai e scesi dalla macchina. Mi voltai indietro e vidi che i folli freaks di Vermillion Sands, Marilyn e Jean, Ronald e Orlan e tutti gli altri, invece di fuggire avanzavano verso lo tsunami affascinati. Vidi l’Autista spuntare da chissà dove, riprendere il suo posto alla guida, e l’automobile di Costanza partire. Cercai di corrergli dietro per fermarli, mentre la sabbia cominciava a coprire tutto, ma qualcosa mi colpì alla nuca. Mi risvegliai in ospedale. Un infermiera pallida e sensuale mi disse che avevo passato qualche giorno in stato confusionale, ma non era nulla di grave e ben presto sarei stato dimesso. Mi feci portare i quotidiani più recenti, ma all’ingloriosa fine di Vermillion Sands, quella che era stata la più chic tra le località di vacanza, era dedicato solo un breve trafiletto.

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