

Tutti, anche i più grandi uomini, prima poi fanno o dicono una cazzata (perdonate il francesismo). Ma è possibile che se un grande scrittore spara una cazzata dev’essere ricordato solo per quella? Prendiamo Sciascia e la sua infelice uscita sui “professionisti dell’antimafia”. Quello svarione chissà da cosa generato è oggi il cavallo di battaglia degli scrittorucoli di regime, tipo un Rondolino o un Veneziani, tanto per non far nomi, di fronte al successo di autori che, al contrario di loro, vendono e piacciono a un pubblico che fa opinione (per es. Saviano, se non l’avete intuito). O pensiamo a Pasolini, un genio, che pure scrisse quell’orrenda poesia che ancora oggi grida vendetta al cielo, dove lui tra lo studente e il poliziotto sta col poliziotto perché, poverino, è figlio del popolo mentre lo studente è un figlio di papà… Come se ci fosse un merito nel nascere poveri e una colpa nell’avere un padre che ha studiato. Allora forse l’agente Spaccarotella ha fatto bene ad ammazzare un tifoso, magari era un figlio di papà pure lui.. Ma Pasolini ammetteva il suo “cattolicesimo arcaico”, magari malinteso, e il suo pauperismo. Fatto sta che Sciascia e Pasolini hanno scritto migliaia di pagine superbe. E invece continuano ad essere citati per queste due uscite grottesche. Passi per chi non li ha letti ed orecchia citazioni qua e là. Ma chi del leggere e scrivere fa una professione dovrebbe mettere da parte invidie e meschinità. Nietzsche diceva che uno scrittore può avere un destino peggiore che essere frainteso, ossia essere compreso. Non immaginava che il destino di molti scrittori è essere ridotti a una sola frase, quella che si può strumentalizzare.
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