
Da sempre chi governa cerca in tutti i modi di controllare i cosiddetti mezzi d’informazione, filtri mediatori tra i fatti accaduti e i cittadini ignari. Nella storia i casi citabili sono molteplici, palesi dimostrazioni della mancanza di libertà di opinione che contraddistingue le nazioni e i paesi governati da regimi o poteri assoluti. Spesso, l’uomo di potere o la forza religiosa, concedono solo con il contagocce la possibilità di diffondere tutti i crismi delle opinioni esposte dai sudditi che devono sottostare alle loro decisioni e poteri senza emettere fiati troppo disturbanti. Tutti conoscono, ad esempio, la censura flambé riservata da sempre a libri e documenti scomodi scomparsi sotto l’azione brutale di lingue di fuoco senza alcuna pietà.
Nella Storia numerose personalità sono state eliminate, fisicamente o mediaticamente, perché possedevano quella capacità informativa basata sul voler comunicare la verità nella sua forma nuda e cruda, senza le finzioni e i trucchi che spesso la adornano, volti a coprire i suoi tratti più scandalizzanti. Una dote oggi ormai sempre più rara e in via d’estinzione tra le penne virtuali di chi giornalisticamente risiede dietro ad un computer.
In Italia Berlusconi ha allungato le sue corte e brevi braccia riuscendo ad afferrare quasi tutti i mezzi di comunicazione. Attualmente possiede il controllo di quasi tutta l’informazione televisiva libera e sotto i suoi dettami escono in edicola una gran quantità di giornali e riviste. Spesso ha influito sulle scelte dei programmi d’intrattenimento e approfondimento politico sradicando alberi e cespugli del giornalismo italiano come fossero fastidiosa ortica. Tutti ricordano le recenti vicende legate a Biagi e Santoro.
Ma cosa succede quando finalmente alcuni giornalisti decidono di non aderire a questo nauseabondo sistema?
Ecco fuoriuscire le dieci (ora venti) domande della Repubblica, dieci cacciaviti capaci di svitare i bulloni del portone d’entrata delle roccaforti berlusconiane scardinandone alcune certezze. Dieci colpi d’ariete capaci di mettere in evidenza il basso livello raggiunto dall’informazione italiana, succube di un uomo che da sempre scala le montagne del potere distribuendo manciate di denaro e favori a destra e a manca.
Ma cosa accade ancor più quando i giornali esteri, immuni dal potere berlusconiano, riportano con i giusti toni la possibile notizia sconvolgente?
Ecco che le braccia piccole si rivelano ancor più minute e insufficienti. Berlusconi non può contrastare le testate straniere, fatte di editoriali, titoli e articoli che come piccoli aeroplani di carta sorvolano le alpi e giungono fino a noi, eludendo le vedette come Belpietro e Rossella. Il castello costruito con la calce della menzogna crolla come una qualsiasi fortezza edificata con semplici carte, spazzate via dal primo vento che soffia dall’Europa.
Generali e sergenti fidati come Feltri, Giordano e Fede non bastano a controbattere un’offensiva di bombe cartacee inviate da colonnelli esteri dall’indubbia e riconosciuta autorità. Per di più, The Financial Times, El Pais, Le Monde, The Times non sono etichettabili come entità catto-comuniste escludendo anche l’asso della manica della difesa che il piccolo cavaliere ama giocare quando le spalle sfiorano il muro e gli aiuti scarseggiano anche tra gli alleati.
Lo scenario diventa ancora più squallido quando in un tentativo disperato, generato dalla poca lucidità rimastagli, il premier accusa Franceschini di controllare i fili della stampa estera, un lavoro da burattinaio che per il segretario del PD è di difficile riuscita persino in Italia. Un paese, il nostro, dove l’unico burattinaio è un mangiafuoco di Arcore che conosce perfettamente l’uso delle lingue di fuoco della censura.
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