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giovedì 6 agosto 2009

Nigeria vittima del suo petrolio


di Andrea Pili.

Il 30 luglio l’esercito nigeriano ha posto fine alla lotta dei Boko Haram, dopo cinque giorni di guerra e 600 morti, sconfiggendoli pesantemente e arrestandone il capo Mohammed Yusuf, poi ucciso subito dopo la cattura. La cruenta settimana di scontri tra i ribelli islamici e le truppe governative ha provocato la distruzione di parecchi villaggi, ridotti alle fiamme. Tuttavia tale capitolo della storia nigeriana è solo l’ultimo episodio della travagliata vicenda del paese africano, la cui colpa principale è l’essere il primo stato dell’Africa (con l’Algeria) per risorse petrolifere. Il petrolio, che poteva essere un’importante base per il benessere del popolo, è stata la causa principale delle contese interne che violentano il paese ormai da quarant’anni. I Boko Haram sono l’ultimo stadio di una ribellione popolare che- come già accaduto in Palestina – dopo aver mostrato un volto laico e democratico, pur combattente e fiero, ora mostra la faccia di un movimento violento ed integralista tanto da essere soprannominato “talebano”.
La Nigeria, indipendente dal Regno Unito dal 1960, salvo brevi intervalli di democrazia, ha vissuto sotto regimi militari per gran parte della sua esistenza. Fin da subito si è incontrata col suo oro nero, una delle cause principale della prima tragedia del paese: la guerra in Biafra. Nel 1967 la regione sud-orientale del Biafra, guidata dal colonnello Ojukwu, secede dal governo centrale e si proclama repubblica indipendente, accusando il governo militare guidato da Gowon di distribuire ingiustamente i profitti dello sfruttamento petrolifero della regione. Lo stato maggiore al potere risponde inviando l’esercito per riprendere la zona. Il Biafra possiede un’importante parte dei giacimenti petroliferi del paese. Perciò la guerra civile diventa oggetto degli interessi occidentali; l’Inghilterra sostiene il governo di Lagos, mentre il Portogallo, attraverso le sue colonie, sostiene i secessionisti. Le compagnie petrolifere sono già presenti nella ragione ed è facile capire da che parte stessero. Nel 1969 una base Eni fu spettatrice di una violenta strage che portò la morte anche di dieci tecnici italiani, dipendenti della multinazionale. Nel 1970 il Biafra è stremato dalla fame e le sue forze militari sono allo sbando; Ojukwu scappa e le truppe governative vincono e reintegrano la regione nella Nigeria. Tre anni di guerra civile sono costati circa un milione di morti, se si calcolano non solo i caduti negli scontri ma anche i decessi per la fame e la malattia causate dal conflitto. Progressivamente si insediano nel paese le più importanti multinazionali: Shell, Exxon, Mobil, Total, Agip. Queste, da decenni, corrompono i governi nigeriani in cambio di condizioni favorevoli per i loro affari. L’area più ricca di petrolio è quella del delta del Niger, nel meridione del paese, regione abitata dall’etnia Ogoni. Dato che nessun governo si è mai preoccupato di porre alle compagnie delle regole ecologiche, le multinazionali hanno inquinato e dunque rovinato una terra fertile, in cui milioni di persone vivevano in pace basando la propria sussistenza di pesca e agricoltura, attività oggi compromesse. Il popolo Ogoni vistosi espropriato dalle multinazionali, tradito dai governi e umiliato dalle guardie al soldo delle aziende, ha generato numerosi movimenti di liberazione. Il più celebre è di certo il MOSOP (movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni) associazione non violenta capeggiata dallo scrittore Ken Saro-Wiwa avversario delle multinazionali e del potere corrotto da esse. Mentre l’Occidente opulento conosceva e apprezzava la Nigeria tramite la sua bella nazionale di calcio rivelazione ai mondiali del 1994 e medaglia d’oro alle olimpiadi di Atlanta’96, il paese versava sotto la brutale dittatura militare di Sani Abacha. Abacha rimase al potere dal 1993 al 1998 ed è stato definito come il quarto capo di stato più corrotto della storia recente; si calcola che ben tre miliardi di sterline siano stati portati fuori dal paese su conti del dittatore e di membri della sua famiglia. Il premio Nobel per la letteratura Wole Soyinka fu condannato a morte dal suo regime e ancora oggi vive in esilio negli Stati Uniti. Grande corruttrice della giunta di Abacha fu la Shell a cui il Mosop stava causando parecchi problemi con le sue dimostrazioni. Così, partendo da un pretesto (la morte di alcuni Ogoni) Abacha accusò Ken Saro-Wiwa di fomentare la violenza nella regione; nel 1995 il leader non violento viene condannato a morte ed impiccato assieme ad altri otto attivisti. Una volta tornata la democrazia, i familiari dello scrittore fecero causa alla Shell, ritenuta vera responsabile della morte. La multinazionale, pur di concludere alla svelta il processo, decise di risarcire i familiari con 15 milioni di dollari; ufficialmente per “favorire la riconciliazione”.
All’inizio del XXI secolo è comparso il MEND (movimento per l’emancipazione del delta del Niger) il quale si propone la liberazione della regione con atti di terrorismo e sabotaggio contro tutte le aziende petrolifere operanti nella zona. Il gruppo è stato portato sulle prime pagine dei giornali italiani a causa del rapimento di dipendenti italiani dell’Agip, poi rilasciati. Il movimento è stato responsabile dell’omicidio di militari e dipendenti delle compagnie.
Ultimo movimento è quello dei nostri giorni: il Boko Haram, che significa “l’educazione occidentale è un male”. Si tratta di un movimento integralista islamico sviluppatosi nel nord del paese (a maggioranza musulmana a differenza del sud, cristiano) ad opera di studenti universitari e laureati disoccupati. L’obiettivo dei guerriglieri è di fondare uno stato islamico dopo l’abbattimento del governo corrotto dall’Occidente. Si dice che Mohammed Yusuf sia uomo molto plagiato dal dogmatismo religioso, tanto da apparire ignorante malgrado la sua istruzione; pare che rifiuti il darwinismo e creda la pioggia una creazione della divinità. Inoltre si è detto disposto a rifiutare la sfericità della Terra nel caso in cui il Corano la contraddica. Tuttavia, per quanto riguarda la sua opinione sul governo non si può dargli torto. I recenti governi di Olusegun Obasanjo e Umaru Yar’Adua, eletti democraticamente, non hanno mai dato segno di voler limitare l’influenza delle multinazionali e permettere dunque al popolo nigeriano di arricchirsi.
Due terzi del popolo nigeriano vive al di sotto della fascia di povertà ed il reddito pro capite è inferiore ad un dollaro al giorno. Nelle casse delle compagnie occidentali sono invece finiti oltre trecento miliardi nell’ultimo quarto di secolo, grazie ai profitti del petrolio nigeriano. Inoltre, l’ExxonMobil possiede un fatturato (347 miliardi di dollari) superiore al Pil della Nigeria (115 miliardi) che è quasi pari a quello dell’Eni (109 miliardi).
A mio giudizio, i media occidentali hanno volutamente puntato sull’integralismo religioso dei Boko Haram per produrre simpatia per le truppe governative. Tuttavia, la natura dei recenti scontri è più politica che religiosa. Infatti, in Nigeria la Sharia è già attuata nel nord del paese ed è ancora praticata l’infibulazione. Quindi i guerriglieri islamici dovevano essere di certo più critici verso la corruzione governativa piuttosto che per la sua “infedeltà religiosa”.
Si noti quindi l’evoluzione delle forme di lotta anti-governative. Ancora una volta, se l’Occidente avesse, a suo tempo, appoggiato la lotta laica e democratica anziché i governi servi delle multinazionali, ora di certo la Nigeria non si sarebbe trovato alle prese con un movimento integralista. Le vicende recenti pongono ancora una volta l’Occidente sul banco degli imputati.

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