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giovedì 24 settembre 2009

Dall'Isonzo a Kabul

L'Editoriale


di Igor Carta.

Questo è un articolo scomodo. A molti non piacerà. Non mi interessa, la Costituzione mi garantisce ancora l'immunità dai reati di opinione, scrivo per passione, ho un altro lavoro che mi dà di che vivere, sono dipendente solo della mia coscienza, e la mia coscienza, per quanto possa sembrare frustrata, rancorosa o negativa, non veste in doppiopetto e non ha subito alcun trapianto di capelli, può delirare, questo sì, ma non ho responsabilità istituzionali. Ci risiamo, nuova analogia con passato regno berlusconico. Dopo i soliti lodi, terremoti ed epurazioni, i nostri soldati nuovamente saltano in aria in missione di pace, malgrado i nuovi eufemismi. In missione di pace ci vanno i soldati perché qualcuno impone la guerra come strumento di risoluzione delle controversie. E in guerra o si combatte o si soccombe. I terroristi lo sanno, il colpire i soldati non è il fine, ma il mezzo per ottenere dai loro governi il ritiro, l'unica via possibile per poter riprendere il controllo del territorio. Ci stanno riuscendo, a sentire le dichiarazioni del governo. Sanno che il sangue provoca orrore, e con l'orrore le lingue che contano parlano troppo, nel mero compito di accaparrarsi o di non perdere voti.
Quello che mi irrita é sentire certi discorsi da italiota puro che parla a sproposito. Tempo fa camminavo per le vie di Cagliari e incappai in un muro di calcestruzzo su cui campeggiava una scritta:
“I vostri figli muoiono in guerra, non in missione di pace”. Ovviamente non mi sognerei mai di sputare su una tomba, di denigrare il dolore di intere famiglie, ma la questione è da me sentita in maniera molto particolare, perché quello del soldato é il mestiere che decisi di intraprendere in tenera età. Feci tutto per bene, mi diplomai, partii volontario negli alpini in un reggimento tra i più selettivi disponibili, per testare sul campo se era davvero la vita che faceva per me. Lo era davvero per quanto mi riguarda, mi addestrai, lavorai sodo, presi i gradi, fui irreprensibile disciplinarmente. Feci domanda prendendo in considerazione ogni aspetto di tale scelta, l'andare lontano, tornare a casa raramente, anche il non tornare affatto. Ma come spesso accade, l'esercito ha i suoi parametri, in base ai quali decisero che di me non avevano bisogno. Ma quando vidi la fila che c'era non potei fare a meno di domandarmi quanti di quei ragazzi e ragazze si fossero presi la briga di fare uno straccio di percorso ragionato. Vedono solo lo stipendio, il posto fisso, le missioni sono viaggi tanto lunghi quanto remunerativi. Poi arrivano i morti e quello che si sente dire è: dov'è lo Stato quando lo cerchi?
In cuor mio mi sentirei di rispondere così: ti ha fatto questo prezioso dono: ti ha dato la possibilità di scegliere se diventare un difensore delle istituzioni, ti ha addestrato e ti paga per questo, sei un volontario, la porta è quella.
Letto in altra maniera, se vuoi riportare le tue palline delicate a casa ogni sera, si onesto con te stesso e soprattutto con i tuoi compagni, per i quali la tua inadeguatezza può essere fatale, e cambia mestiere.
A volte mi chiedo cosa avrebbero dovuto dire i nostri soldati morti sul Carso, sul Piave, in Libia, in Russia, che potevano solo scegliere quali pallottole subire, quelle nemiche o quelle del plotone d'esecuzione. Un eufemismo da purista lo so, ma se tutti sapessimo che fu il loro sacrificio a donarci quella preziosa libertà che oggi diamo per scontata, tutti ci sentiremmo in dovere di tacere più spesso, e più a lungo. Altresì non si può non rimarcare il perchè, si è in Afghanistan. I nostri militari sono lì per aiutare gli afghani? Nel mio piccolo un'idea di quella che può essere l'entità dei costi che lo Stato sopporta per questa presenza, per quanto sono poveri, ignoranti e disperati, ci deve per forza essere qualche altra ragione a giustificare un tale dispendio di risorse umane e materiali.
Prima di chiedere il ritiro, forse dovremmo fare la domanda al contrario, perché sono là?

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4 commenti:

  1. ke paradosso!! Fare la guerra, x avere la pace....e questa, sarebbe una missione di pace? Quanti uomini e ragazzi sono morti (a mio parere)invano? Se fra mesi o un anno, questi stati, decidono la ritirata, cosa abbiamo concluso???D'accordo..qualcuno lamenta ke:è una scelta recarsi in quei paesi, dove la pace è soltanto un'utopia. nn solo,io penso anke..(quando gli scopi,nn sono solo quelli ke hai citato) possedere grande coragggio..ma il coraggio di un uomo, a cosa serve se poi nn si è risolto nulla?..O peggio, tutto ritorna com'era all'inizio di questa crociata. Ai morti, rimangono:una bandiera, una medaglia, il ricordo e il dolore dei propri cari..ma nulla +...

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  2. Un pò come fare sesso per difendere la verginità...

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  3. hihihiihi ...bella questa...me la segno!!! :)))) bye

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  4. Perchè son là?
    Una domanda che può trovare migliaia di risposte, forse tante quante sono le anime impegnate in un doppio conflitto, uno materiale, tangibile e uno interno a se stessi. In una terra sconosciuta, con una storia e una cultura sconosciuti per molti che partono per un fronte che non gli appartiene. Il motivo l'hanno imparato bene: difendere la libertà, tanto importante quanto astratto.
    In cuor loro sperano davvero di essere dalla parte dei buoni, infondo chi vuole fare del bene non imbraccia un fucile. Ma quello è un facile compromesso per chi la guerra prima di allora l'ha vista solo nei film, dove uccidere aiuta la gente e morire è da eroi.
    Sono in tanti che partono così, inconsapevoli ma motivati (plagiati?) trovando una risposta solo dopo aver visto la criticità delle condizioni umane e i disastri di una guerra che non risparmia nessuno se non i potenti, i veri artefici di una strage disumana. Famiglie distrutte, bambini mutilati, case rase al suolo, è quello che trovano i soldati al loro arrivo... chi ha fatto tutto quel male?
    Ed è in quel momento che nasce il "perché" son li. Il vero motivo è dare un senso alla loro presenza, a prescindere dallo scopo. Quello non gli riguarda, potrebbe essere rischioso farsi un'altra domanda proprio quando la coscienza è in pace... almeno quella. Perché se si dovesse andare avanti si correrebbe il rischio di capire che dopo le loro paure prima di partire, gli occhi dei loro figli che gli chiedevano perché, le lacrime delle loro mogli che si sentivano già vedove, malgrado una vita trascorsa a seguire un sogno... il vero motivo non ha niente a che vedere con una loro scelta.
    La mia breve esperienza militare è stata simile alla tua, cambia solo la fine della storia... io ho deciso di non continuare nonostante mi fossi spianato la strada per una lunga carriera. La mia fortuna è stata quella di aver trovato il “perché” prima di dovermelo imporre.

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