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venerdì 16 ottobre 2009

La questione dell’egemonia culturale

Seconda pagina - Focus



Il filosofo Antonio Gramsci, di formazione marxista, pensò che la conquista del potere non dovesse passare per la forza, ma tramite l’imposizione di un egemonia culturale mediante intellettuali detti “organici”. La teoria si diffuse non solo nei paesi dell’est, dove il potere era già preso e bisognava mantenere il consenso, ma ancora di più in occidente, in Italia dove nel frattempo il fascismo aveva imprigionato e fatto morire in carcere il filosofo sardo, (oggi uno dei soli tre italiani studiati all’estero - gli altri sono Bobbio e Negri); nella Germania di Hitler, che affidò la macchina della propaganda a Goebbels, uno dei suoi uomini più intelligenti benché pazzo furioso; e in America, in particolare ad Hollywood. Successe però che Hitler e Mussolini conquistarono il potere e il consenso ma non riuscirono a costruire un egemonia culturale. Soprattutto in Italia la cultura del ventennio fu mediocre e piccolo-borghese ma quasi mai dichiaratamente fascista, a volte persino sottilmente contraria, vedi i film di De Sica. Del resto è difficile pensare che un vero artista sposasse una cultura razzista e guerrafondaia. Dopo la guerra fu inevitabile che l’elite culturale fosse quella uscita dall’antifascismo militante, ma benché chiaramente orientata a sinistra sarebbe un errore limitarla al marxismo: pensiamo all’importanza del pensiero azionista (Bobbio, Galante Garrone, Mila, Scalfari e molti altri), che pure quando si fece partito ebbe un risultato elettorale disastroso. O il successo della casa editrice Adelphi, quella di Nietzsche, Hesse, Kundera, autori che il marxismo ortodosso considerava di destra e amati da lettori di sinistra, vista con sospetto dai dirigenti del PCI e odiatissima dagli opinionisti di destra. Ma questa egemonia culturale, innegabile nelle case editrici e nei salotti buoni, era tale anche nel paese? È un dato di fatto che malgrado l’egemonia culturale della sinistra la DC aveva risultati elettorali dal 40 al 70 %, a seconda delle regioni. Quindi un’ egemonia culturale solo sui colti, non sull’italiano medio, e non dimentichiamo che fino a metà anni ’80 in Italia i laureati erano meno degli analfabeti. Poi, alla fine degli anni ’70, l’evento che ha mutato antropologicamente l’Italia: l’esplosione delle tv private. Queste non si può dire che avessero intenti politici, ma hanno influito enormemente sul costume italiano. In un paese dove sino a dieci anni prima esisteva il delitto d’onore e se una ragazza veniva stuprata era lei colpevole (se lo ricordino quelli che tuonano contro le inciviltà di altri popoli) la pornografia divenne merce quotidiana. La pubblicità all’americana di piccoli imprenditori fatti da sé faceva sorridere ma intanto passava. Il trionfo del dilettantismo e lo sdoganamene delle commediacce pecorecce abbassavano l’asticella del gusto e del senso del pudore. Fu questo e non il 68 a cambiare gli italiani. Una psicoanalista diceva a un convegno: negli anni ’70 trovavi in casa di operai un libro di psicoanalisi. Oggi non trovi un libro in casa di molti professionisti. Con gli anni ‘80 altri due eventi fondamentali: la creazione del network Fininvest –Mondadori e la lottizzazione politica della RAI: un canale “filogovernativo” , uno a Craxi e uno alla sinistra. Dal ’94, dopo Tangentopoli e la discesa in campo di Berlusconi il secondo canale sarà appaltato a Lega e AN. Poiché è innegabile che la TV influenzi molto più che libri e scuola negare che da 25 anni a questa parte la vera egemonia culturale sia berlusconiana sarebbe folle; semplicemente l’opposizione, in quanto tale, spesso ha toni più urlanti e fa più rumore. Poiché in Italia l’idea di destra viene automaticamente identificata col fascismo, e la cultura con la cultura alta (libri, cinema d’autore), molti rifiuteranno l’idea che la cultura dominante sia oggi quella della destra. Ma date un occhiata ai programmi del pomeriggio, quelli destinati alle massaie, e ditemi quante volte vedrete ospite una parente di Mussolini o Almirante e quante una di Togliatti (sua figlia è una brava psicoterapeuta familiare ) o di Nenni. Che poi la cultura dominante sia qualcosa di ben diverso dal fascismo quando non addirittura opposto è innegabile. Ma i messaggi che passa la tv sono ancora più antagonisti rispetto alla sinistra. Culto del successo facile, del lusso, della bellezza fisica, della pseudo trasgressione sessuale, della vita come eterna vacanza, del tempo vissuto come eterno presente, disprezzo per gli intellettuali, gli “esperti” ridotti a macchiette, il tutto unito ad una superficiale riscoperta di valori patriottici o cattolici, questi probabilmente più per un italianissimo servilismo verso un potere in quanto tale che genuinamente sentiti. Il tutto riconducibile a quella nuova destra, capitalista e populista, materialista ed edonista ma tradizionalista, nata negli anni ’80 con Reagan e Thatcher. Messaggi che però sono intrinsecamente contraddittori e, come diceva il grande antropologo Bateson, l’esposizione a messaggi contraddittori porta la schizofrenia.

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