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venerdì 27 novembre 2009

DELINQUENTI E PENE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE

Seconda pagina - Focus



Più volte radio, giornali e televisione hanno informato su reati commessi da detenuti ammessi ad attività esterne al carcere e, spontaneamente, è sorta la comprensibile indignazione popolare. Ogni volta è stata indotta la percezione di una diffusa impunità e si sono riproposti i temi del “garantismo del sistema giudiziario italiano”, dell’”ineseguibilità” di molte condanne, dell’”utilità e dello scopo di vari benefìci e pene alternative alla detenzione” (arresti domiciliari, semilibertà, affidamento in prova, lavoro all’interno od all’esterno del carcere, permessi-premio, riduzione di pena, etc.) che mettono dei rei, già condannati per certi reati, nelle condizioni di commetterne altri!
Il ricorso alle pene alternative alla detenzione, alla riduzione della pena ed ai permessi-premio, per buona condotta in carcere, ha avuto certamente benéfici effetti sulla vita penitenziaria, perché la maggior parte dei condannati (ed anche di coloro che sono in attesa di giudizio) durante la detenzione tiene un buon comportamento.
La legge n. 354 del 1975 ha voluto rispondere, in Italia, ad un principio di civiltà che é sostenuto anche dalla religione cattolica (si pensi, alla metafora del “buon pastore”): le pene date ai rei non debbono essere finalizzate a se stesse, ma alla rieducazione e reintegrazione sociale dei rei; cioè, al recupero sociale di coloro che hanno sbagliato. Da tali punti di vista, l’ergastolo e la pena di morte sono ancor meno accettabili.
In realtà, la detenzione, di per se stessa, non assicura la rieducazione: può inibire i rei e servire da deterrente per il futuro od incattivirli ancora di più e trasformare i carceri in scuole di delinquenza.
Perché le pene abbiano una efficacia rieducativa, debbono essere adeguate alle varie personalità dei rei, non differenziarsi solo per il tempo che loro debbono trascorrere in carcere. Debbono, cioè, essere diversificate e comprendere anche le misure di cui si è detto prima. Le attività rieducative di gruppo sono particolarmente indicate per i minorenni.
Il problema dei condannati che commettono altri reati fuori dai carceri, durante l’esecuzione di pene alternative o di permessi o di lavoro all’esterno, non sta, dunque, nello spirito che anima la legge, ma in un migliore uso di essa; cioè, in una migliore selezione dei condannati che debbono potere usufruire dei suddetti benefìci e pene alternative alla detenzione.
Il “battage” che ogni volta fanno i “mass media” induce la percezione che la maggior parte di quei beneficiari tradisce il patto di fiducia con le istituzioni. In realtà, solo una minoranza di loro lo fa. Ma ciò non toglie che bisogna, comunque, evitare che ciò accada, onde prevenire ulteriori danni ai cittadini.
A tal fine, premesso che la valutazione va fatta sempre caso per caso, secondo l’esperienza dello autore di questo scritto di 17 anni di lavoro in istituti di detenzione, per adulti, e di rieducazione, per minori, le suddette possibilità dovrebbero essere riservate soprattutto ai condannati per reati occasionali; meno a coloro che hanno fatto scelte di vita criminale come, per esempio, gli affiliati alle cosche mafiose ed a bande organizzate ivi comprese quelle che commettono reati finanziari, commerciali ed amministrativi, poiché sviluppano “formae mentis” devianti ed è più difficile che si pentono veramente e che cambiano i loro comportamenti. Tendenzialmente, dovrebbero essere esclusi anche coloro che hanno disturbi della personalità antisociali (ivi compresi i pederasti e gli stupratori) di cui sono più piene le carceri dove finiscono soprattutto coloro che commettono reati violenti. I disturbi della personalità, infatti, possono essere causati da fattori socioculturali o da fattori costituzionali ereditati geneticamente i quali ultimi consistono, per lo più, nell’iper-sviluppo di funzioni biologiche legate ad istinti. Questi ultimi sono quelli meno modificabili, perché, anche quando gli interessati sono consapevoli delle conseguenze negative che hanno le loro tendenze comportamentali sui loro rapporti sociali e desidererebbero veramente cambiarle, gli impulsi interiori si ripresentano in loro auto-geneticamente o stimolati da fattori ambientali esterni e, finché non sono soddisfatti i bisogni ai quali sono correlati, tendono a dominare le loro volontà. Anche i dipendenti da sostanze tossiche difficilmente riescono a liberarsene ed a iniziare a svolgere vita sociale adattata, perché tali sostanze apportano varie modifiche peggiorative ai loro sistemi nervosi centrali ed alle loro capacità di auto-gestirsi in modi razionali ed adattivi.
Per individuare i veri pentiti, gli esperti del Ministero della Giustizia, di cui all’art. 80 della suddetta legge, debbono ricorrere necessariamente a colloqui psicoclinici. Certamente, non dovrebbero commettere il marchiano errore (che purtroppo l’autore ha visto fare troppe volte) di identificare i più “rieducabili” in coloro che solamente dichiarano di “essere pentiti” e di avere “buoni propositi per il futuro” o di essere stati “vittime involontarie di circostanze” o di avere sbagliato “per la giovane età” etc. etc., poiché - ovviamente - possono dissimulare. Possono essere di maggiore aiuto all’analisi psicologica i test proiettivi; meno i questionari, perché sono più manipolabili da parte degli esaminati. Il Test di Rorschach è il meno manipolabile. Ma, anche usando tale strumento, è molto importante prendere in considerazione i fattori situazionali che nei carcerari contribuiscono a determinare le “performances” degli esaminati. Per esempio, dopo avere somministrato parecchi test di Rorschach a detenuti adulti che avevano chiesto di beneficiare di pene alternative alla detenzione e che avevano assunto un atteggiamento collaborativo “in surface”, l’autore ha notato che otteneva mediamente un basso numero totale di risposte, un alto G% e, tranne per coloro che erano più impulsivi od aggressivi, un alto F% e, spesso, anche un buon Ban%. Ciò poteva far pensare a povertà affettiva o ad un buon auto-controllo razionale della emotività od a superficialità del pensiero o ad un riadattamento al modo di pensare comune. Sfortunatamente, tali ipotesi interpretative contrastavano con gran parte dei loro fascicoli personali e delle loro fedine penali.
Un’analisi fenomenologica della situazione-testing ha consentito di interpretare meglio i risultati ottenuti. Al contrario delle apparenze, il basso numero medio di risposte poteva essere attribuito allo atteggiamento prudente che gli esaminati avevano assunto ed alla paura di dare risposte “sbagliate” o di “rivelare” aspetti negativi di sé, per non compromettere la possibilità di ottenere gli agognati benefìci. L’alto F% medio ed anche l’eventuale buon Ban% potevano essere attribuiti alla conseguente tendenza a dare le risposte più “sicure”, dal punto di vista percettivo, finalizzata pure a non “sbagliare”. Secondo Carp A.L. e Shavzin A.R. (v. The susceptibility to Falsification of the Rorschach Psychodiagnostic Technique, in J. Consult. Psychol., 1958), quando un esaminato sa che dall’esito del test può dipendere la possibilità per lui di ottenere ciò che desidera, può assumere un atteggiamento prudente, per tentare di nascondere aspetti negativi di sé o cercare di fare bella figura, e ciò può manifestarsi con una riduzione di risposte o con un aumento dell’F%. Anche Calden G. e Cohen L.B. (v. The relationship of Ego-Involvement and Test-Definition to Rorschach Test performance, in J. Proj. Techn., 1953) hanno osservato lo stesso fenomeno. Secondo D. Passi Tognazzo (v. Il metodo di Rorschach, in Giunti, Firenze, 1970), quando non si ha la fiducia e la simpatia dell’esaminando, questi può tentare di “chiudersi” al test e ciò può causare una diminuzione della produttività ed un aumento del Ban%.
L’alto G% medio poteva, invece, essere attribuito tentativo di fare bella figura di fronte allo esaminatore e di ingraziarselo, sempre ai suddetti scopi. Secondo Schachtel E.G. (v. Experiential foundation of Rorscahch’s Test, in Tavistock, London, 1966), nelle istituzioni autoritarie, quali sono anche i carceri, i soggetti tendono a sottomettersi all’autorità, quando hanno bisogno di ingraziarsela, cercando di piacerle e questo può manifestarsi al Rorschach con un aumento della produzione di risposte o con un aumento del G%.
E’ probabile che nei detenuti aspiranti ai benefici ed alle pene alternative alla detenzione, analizzati dall’autore, tali tendenze si siano combinate tra esse producendo i risultati suddetti. Infatti, egli, in quella particolare situazione, rappresentava l’istituzione e dal “buono” o “cattivo” esito dei suoi “esami” dipendeva, per loro, la possibilità di ottenere o meno ciò che desideravano. Nei suoi confronti avevano assunto, dunque, un prudente atteggiamento od, addirittura, un atteggiamento di sfiducia che spiegavano meglio quei risultati al test.

Bibliografia dell'autore.

Adolescenti e preadolescenti – Collana Monografica di Psichiatria Sociale
Estensiva, CELUP Ed., 1-3, Anno VII, 1980, Palermo.
Cammarata Salvatore – Sulla somministrazione del Test di Rorscahch a detenuti che hanno chiesto
di beneficiare di pene alternative alla detenzione - Collana Monografica di
Psichiatria Sociale Estensiva, CELUP Ed., 1-3, Anno VII, 1980, Palermo.
Cammarata Salvatore – “Sì ai benefici ma non per tutti”- La Sicilia, 19-08-1999.
Cammarata Salvatore – I pregiudizi non aiutano a reinserirci – La Sicilia, 10-04-1988.
Cammarata Salvatore – I detenuti in campo – La Sicilia, 10-05-1988.
Cammarata Salvatore – Aspetti della valutazione psicologica in ambito clinico, giudiziario e
criminologico – Criminologia e Psicopatologia Forense, Anno V, n. 1,
gennaio-aprile 1989.
Cammarata Salvatore – Pena e sconto, non tutti i criminali sono rieducabili – Secolo d’Italia, 27-
02-2000.
Cammarata Salvatore – La rilevanza psicologica della pericolosità sociale dei disturbati psi-chici
autori di reato – Atti del Convegno Nazionale sul tema: Dalle infermità
alla pericolosi-tà sociale: considerazioni epistemologiche e prospettive –
Palermo, 12-13 dicembre 1986.
Cammarata Salvatore – Criminali per futili motivi – Secolo d’Italia, 29-06-2001.
Cammarata Salvatore – Perché quei giovani cercano la morte? – Secolo d’Italia, 29-08-2000.



1 commento:

  1. il mio primogenito, la pensa esattamente come te..e nonostante io faccia parte di quella skiera di cittadini, ke si lascia prendere dalle emozioni e vorrebbe buttare via le kiavi in quelle galere dove vivono: stupratori, assassini, bombaioli, veri criminali, mafiosi, politici..(ops, sorry:)) l'ultimo politico ke è entrato e uscito dalla galera, è stato decrescenzo)..la penso come te, o meglio..come gli articoli ke hai scritto e ke purtroppo nn ho letto..“Sì ai benefici ma non per tutti”- La Sicilia, 19-08-1999...Pena e sconto, non tutti i criminali sono rieducabili – Secolo d’Italia, ecc ecc...se le prigioni, sono sovraffollate e invivibili.. allora costruiamone delle altre. se i money nn ci sono, allora lasciamo perdere il ponte sullo stretto..no dico..si fanno anni di prigione ki ha rubato un pollo..ma ki ha ucciso o defraudato onesti e ignari cittadini, sono fuori a dirigere o a commettere ancora gli stessi reati..un "certo" buonismo, nn fa x me..nn sono vendicativa, ma spero in una giustizia, equa e giusta..altrimenti ke giustizia è?? il nordafricano ke ha accoltellato un giovane e poi stuprato x 3 (5??) ore la sua donna (a Rovato) dite ke si pentirà delle sue azioni?? anke se fosse un bresciano, getterei via la kiave x i prossimi 30anni almeno..nessuno, dico nessuno..ha il diritto di tgliere la vita ad un altro..e il detto:"nessuno tokki caino" nn è il mio motto..ciao

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