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venerdì 19 febbraio 2010

Franco Basaglia - L’utopia della realtà

Seconda pagina - Focus



di Alfredo Sgarlato.

"Già pubblicato sulla fanzine KontAminazioni e poi, in forma un po' diversa, su "Il Ponente". (N.d.R)

Nel 1961 Franco Basaglia, brillante psichiatra, vinse il concorso per dirigere il manicomio di Gorizia. Aveva deciso di abbandonare una promettente carriera universitaria, deluso da un mondo culturalmente fermo al secolo precedente, in cui la Psicoanalisi di Freud e la Psichiatria umanistica di Jaspers e Binswanger erano perfette sconosciute.
Mentre varcava l’ingresso però rivisse le sensazioni provate quando, ventenne, nel 1944 fu incarcerato per attività antifascista: "l’impressione di entrare in un’ enorme sala anatomica, dove la vita aveva l’aspetto e l’odore della morte, [...] un letamaio impregnato di un lezzo infernale, dove carceriere e carcerato avevano perso ogni qualifica umana."
Questo era l’ospedale psichiatrico ai tempi del giovane Basaglia, un immenso universo concentrazionario dove migliaia di ricoverati, spesso vittime di diagnosi sbagliate o addirittura solo della povertà e della solitudine ( per es. orfani internati all’ età di sei mesi per oltraggio al pudore: sembra incredibile ma succedeva) erano seguiti da pochi operatori e con cure non al passo coi tempi, tra cui il famigerato elettroshock, che oggi qualcuno vorrebbe riscoprire...
Era ovvio come, per Basaglia, il manicomio non fosse una soluzione, ma un diverso tipo di problema. In esso non c’era alcunchè di scientifico o umanitario, ma una risposta di tipo puramente ideologico. Il manicomio, come il carcere, il ghetto, il lager, il gulag, il bordello rispondeva ad un’unica esigenza: isolare, nascondere soprattutto agli occhi del “benpensante” l’ “osceno”, letteralmente ciò che deve rimanere fuori dalla visuale, il diverso per eccellenza, il folle, come già in passato o in altri paesi avveniva per i neri, gli ebrei, i dissidenti, le prostitute. Questo paradossalmente avveniva mentre la società occidentale chiedeva sempre più libertà, uguaglianza e rispetto dei diritti umani, in una parola democrazia. Eppure questa società in fermento produceva comunque malattie mentali, di cui Basaglia, checchè ne dicano alcuni cialtroni promossi intellettuali solo per meriti politici, non ha mai negato l’esistenza, ma quale risposta dava al problema della psicosi? Una negazione dell’esistenza delle persone colpite, quindi una difesa di tipo ugualmente psicotico. Non solo: se tutto ciò che è incomprensibile deve essere eliminato, la norma dell’esclusione finisce per diventare non solo etica, ma anche estetica, tarpando le ali alla creatività umana.
Fu così che l’equipe diretta di Basaglia, che comprendeva tra gli altri la moglie Franca Ongaro, conosciuta all’ università e sposata nel 1953, Giovanni Jervis e Agostino Pirella, compì il primo gesto rivoluzionario: aprire le porte del manicomio. Effetto immediato, la cessazione delle fughe: chi può voler fuggire, se è libero? La chiusura dei reparti avvenne progressivamente, dai meno problematici a quelli coi pazienti più gravi, unita alla creazione di assemblee comuni dove pazienti e personale discutevano della gestione dell’istituzione, l’apertura al mondo esterno e, per quanto possibile, un inserimento lavorativo retribuito decentemente per i ricoverati. L’esperienza di Gorizia ebbe grande risonanza anche all’estero e Basaglia confrontò le sue ricerche con quelli di grandissimi autori stranieri come Ervin Goffman e Ronald Laing ( per non dire di Sartre...). Da Laing, con cui il rapporto fu anche di amicizia, mutuò l’idea di case- famiglia dove pochi ricoverati potevano essere ospitati e seguiti in maniera adeguata. Dopo Gorizia Basaglia, che nel frattempo aveva pubblicato un testo capitale, “L’istituzione negata”, fu chiamato a riformare gli ospedali di Parma, nel ’69, dopo un semestre di studio passato a New York, e Trieste nel ’72.
L’esperienza americana fece maturare ulteriormente il pensiero di Basaglia che, alle prese con una società ancora più competitiva e monetizzata della nostra, notò come le differenze sociali giocassero un ruolo decisivo nell’ affrontare i disagi psicologici. Solo i membri delle classi meno abbienti usufruiscono della sanità pubblica, mentre i ricchi possono accedere a strutture private o addirittura nascondere i propri malati all’opinione pubblica, rendendo molto più difficile la corretta valutazione del fenomeno e la cura dei casi. Così anche il problema del disagio psichico diventa problema sociale e politico.
Ne “la maggioranza deviante” Basaglia affronta il tema del rapporto tra norma e devianza e quindi tra normalità e patologia. La norma/normalità, afferma il sociologo Canguilhem, di fatto è un criterio puramente matematico-statistico: si considera “normale” la maggioranza assoluta (66%) della popolazione, ma ciò non può avere alcun valore di merito, poichè esclude anche chi è al limite superiore. Basaglia commenta che anche il concetto di norma deriva dal potere di una classe dominante, che impone i propri valori ai subalterni. Ma una norma imposta a forza non può essere condivisa da tutti, per cui dove c’è abuso di potere il deviante non può percepirsi come tale. Solo in una perfetta democrazia, dove norme e valori rispecchiano la esigenze di tutti essi sono interiorizzati e rispettati. Questa è la ragionevole utopia basagliana, negare la società delle istituzioni repressive per passare a quella "dell’istituzione inventata, della contaminazione (wow!), della complessità dell’oggetto, della singolarità dell’individuo."
In “Crimini di pace”, Basaglia analizza il ruolo dell’intellettuale nella società. Era stato sconvolto da un articolo dove Jaspers, il grande filosofo esistenzialista, invocava l’uso della bomba atomica contro la Cina di Mao. Forse era solo demenza senile, ma Basaglia ne prese spunto per esternare la sua generale delusione nei confronti del mondo intellettuale. Dopo un entusiasmo iniziale dovuto alla lotta di liberazione e al fermento del dopoguerra, Basaglia notò come gli intellettuali stessero abdicando dalla funzione di portatori di idee nuove, diventando semplici “funzionari del consenso”. Questo avveniva, secondo lo psichiatra, perchè non erano capaci di mettere in discussione i valori della classe a cui appartenevano, anche quando, e in buona fede, prendevano le parti degli oppressi. Questo valeva, secondo lui soprattutto per le scienze sociali, psicoanalisi, psichiatria, sociologia, in cui aveva creduto, in quanto portatrici di novità. Solo se non rinuncia mai alla funzione di critica, dice Basaglia, l’intellettuale può essere utile alla società. Forse questa continua lettura della società come classi in conflitto è l’aspetto che appare invecchiato nel pensiero basagliano, poichè egli, a differenza di Pasolini, non aveva saputo prevedere l’omologazione (verso il basso...) che avrebbe caratterizzato gli anni a venire.
Oltre alla critica sociale, anche negli ultimi anni della propria vita Basaglia continuò a occuparsi dello studio dei disturbi psichici, scrivendo in totale 121 articoli sull’ argomento dal 1952 al 1980. Basaglia, vale la pena ripeterlo, non affermo mai che le malattie mentali non esistono, ipotesi romantica portata avanti da suoi superficiali allievi. Piuttosto confutò, anche con la pratica, i metodi fino allora utilizzati per curarla, ma soprattutto negò le cause indicate fino allora come origine della malattia ( psichica, genetica, biologica, sociale, quelli che il suo allievo Orazio Siciliani bolla come “dogmi”), propendendo per un ipotesi multicausale. Anche in questo fu buon profeta: l’ipotesi multifattoriale oggi è la più gettonata.
Alla fine degli anni ’70 Basaglia fu incaricato di redigere un progetto di riforma del sistema psichiatrico. Dopo un lunghissimo dibattito la legge venne approvata come Legge 180 il 13 maggio 1978. è possibile che la concomitante uccisione di Aldo Moro abbia dato impulso alla sua approvazione (il 22 seguente fu la volta della 194 sull’ aborto). La legge 180 prevede la chiusura dei manicomi e la loro sostituzione con strutture a misura d’uomo: i centri di igiene mentale, il servizio psichiatrico diagnostico-clinico (SPDC), le case-famiglia, le comunità terapeutiche. Prevede che il ricovero forzato (TSO: trattamento sanitario obbligatorio) sia applicato solo se strettamente necessario, per esempio in caso di violenze, rifiuto delle cure, pericolosità, crisi particolarmente gravi, duri 15 giorni, rinnovabili finchè necessario e sia controfirmato da un autorità, per evitare abusi del tipo interdizione del nonno per mangiargli la pensione. Ovviamente continua ad esistere l’ospedale psichiatrico giudiziario per il colpevoli di reati gravi, se dichiarati infermi di mente. La legge 180 è un’ ottima legge, gli psichiatri stranieri la considerano la migliore e non capiscono perchè si voglia cambiarla. Purtroppo essa era una legge quadro, cioè spiegava cosa fare ma non come. La parte abrogativa (chiusura dei manicomi) fu attuata ben presto, sebbene con eccezioni terribili come il manicomio di Agrigento, sopravvissuto in condizioni ignobili fino al 1995, la parte costruttiva, ossia la creazione delle nuove strutture no. L’attuazione della legge 180 nel 1990 era a buon punto solo in Toscana e in Trentino e a tutt’oggi non è ancora a pieno regime. Se ciò non è avvenuto la colpa non è di Basaglia ma dei governi, tutti, che dal ’78 ad oggi che non hanno attuato correttamente la riforma. É così deprimente per gli addetti ai lavori vedere ogni 5 anni politici che, infantilmente, invece di fare autocritica per la propria incapacità fanno demagogia alle spalle di chi soffre, ma cosa possiamo aspettarci da un paese dove chi perde un elezione è promosso ministro?
Nel 1980 Basaglia, dopo uno splendido discorso al parlamento europeo, fu nominato consulente per la sanità alla regione Lazio, ma il 29 agosto la morte lo colse. “L’ utopia della realtà” è il titolo scelto dalla moglie Franca Ongaro per una raccolta di scritti scelti, ad indicare il pensiero di uomo che apprendeva dall’esperienza(come direbbe il grande psicoanalista Bion), guardava avanti sapendo di cosa parlava, e perchè, e che non perse mai di vista la realtà attuale, che criticava a ragion veduta, insomma, l’opposto dei suoi cialtroneschi detrattori. A 30 anni dalla morte il pensiero di Basaglia appare ancora più valido, per la sua complessità e completezza e la sua opera intellettuale e professionale emerge in tutta la sua grandezza . I suoi libri sono finalmente ristampati, ma questo mi porta a notare, con dispiacere, che nemmeno l’anniversario della morte è servito a far ristampare le opere di altri grandi della psicoanalisi italiana come Fornari e Fachinelli.

Bibliografia

1. Che cos’è la psichiatria, Parma 1967, poi Einaudi 1971, Baldini e Castoldi 1997
2. L’istituzione negata, Einaudi 1968, Baldini e Castoldi 1998
3. Morire di classe, Einaudi 1969
4. La maggioranza deviante, Einaudi 1971
5. Crimini di pace, Einaudi 1975
6. La institucion en la picota, Buenos Aires 1974
7. Conferenze brasiliane, Sao Paulo 1979, Cortina 2000
8. Scritti 1953/1968, Einaudi 1981
9. Scritti 1969/1980, Einaudi 1982
10. L’utopia della realtà, Einaudi 2005



1 commento:

  1. beh..xkè nn facciamo sperimentare il famigerato elettroshock, a chi vorrebbe riscoprirlo??..ki è a favore, senza spintoni e rincorse, mettersi in fila please!!! proposta da matti....
    Le cose buone fatte finora da Uomini x il bene della Nazione..vengono sistematicamente smantellate da omuncoli ignobili e opportunisti..ai quali, mancano:esperienza, comprensione e responsabilità, verso i malati e le loro famiglie.

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