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venerdì 19 febbraio 2010

Misty Lane # 1

Caffè letterario


di Roberto Sonaglia.

I.

A forza di darmi risposte, trascuravo la domanda che, da qualche minuto, mi ronzava in testa. Colpa della nebbia, che è acqua timorosa di farsi materia, aria troppo superba per evanescere.
Dentro la nebbia, immerso come una sonda senza cappello, cercavo di orientarmi, per localizzare l’indirizzo al quale ero diretto -al quale cento sacchi al giorno più le spese, mi dirigevano-, con quella domanda che mi girava in testa come la ballerina di porcellana di un carillon.
Nella nebbia c’è qualcosa di sovrannaturale, dicono: la forma delle cose diventa fluida, e cambia colore. Questo sempre che non si tratti delle luci di una macchina che ti viene incontro, simile a uno di quei draghi delle stampe cinesi, o dei film low-budget anni cinquanta. Oppure, sempre in tema di luci, un riflettore puntato contro la facciata di una chiesa, che nel biancore traslucido si trasforma, e vive del moto di particelle vaporizzate -un falso movimento, a 18 fotogrammi al secondo, ralenti spettrale- metamorfiche.
Certi colori, nella nebbia, parlano (il rosa, l’azzurro, il giallo), altri si cristallizzano (il rosso, il nero, il verde), altri ancora scompaiono (tutte le gradazioni di grigio, dal perla al canna di fucile).
Ragionavo come uno di quei personaggi di Orson Welles, che non sa mai se sia l’eroe, o il cattivo del film, ma “a modo suo, un grande”, per dirla con Marlene. E d’altra parte nemmeno Satanasso ha ben capito, ancora, se Dio è l’Antagonista, o tocca a lui, quella parte.
Ero arrivato infine al mio indirizzo: l’Hotel della Pace, che in realtà era un palazzo semidiroccato, una sagoma scura nella nebbia, un gigante in attesa di resurrezione. Là dentro, strani traffici -almeno così affermava il mio Committente-, fra intonaci scrostati e tappezzeria liberty umida e stinta, fra preti scomunicati e donne di malaffare, poeti di strada invalidi e cristalleria bohémienne, scheggiata in più punti.
Mi chiedevo se valeva davvero la pena entrare, per cento sacchi al giorno più le spese, rischiare il culo e l’anima, là dentro. E intanto che riflettevo su quest’ennesima questione retorica, avevo dimenticato la domanda che mi era girata in testa per qualche minuto, come la ballerina di porcellana di un carillon.



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