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giovedì 15 aprile 2010

Metro Pub

Caffè letterario





di Alberto Vitali Cipressi. *

Ritrovarsi in metropolitana aiuta molto la produzione dei pensieri. Da solo fermo per molti minuti, una fermata dopo l’ altra, vedi scorrere la varietà umana intorno a te. E quale città può, meglio di Londra, racchiudere il più ampio campionario di umani… così diversi tra loro, eppure tutti con lo stesso fine. Prendere un treno elettrico che li porti verso un posto, verso un obiettivo, verso un fine ultimo, verso un amore, verso una sbronza (qui questi umani sono molto frequenti), verso la loro vita. Questo non è sliding doors, questo è inside the doors. Dal momento che si varca il confine del vagone, si è tutti coinquilini di uno spazio vitale ridotto. Si dura da un intero tragitto ad una sola fermata. E si vedono gli occhi stanchi e arrossati da un giorno passato addosso a un pc, con la cravatta slegata, la camicia aperta al primo bottone e la valigetta sulle ginocchia. Si vedono le scure linee dei tacchi 12 che pungono le orecchie e il pavimento, restare in piedi e chiacchierare del posto dove andare. Si vedono pak-indiani con il loro stile iper riconoscibile, fatto di vestiario essenziale, insomma pak-indian style: scarpe dalla punta grossa, jeans ben portati sulla cintura, magliore monocolore che non brilla mai, sempre tra il cupo e lo scuro a righe. Cappello sempre nero di lana o thinsulate, e giubotto impermeabile sportivo. Poi ci sono le lingue che svariano: dal russo dell’operaio con pettorina rifrangente, allo spagnolo delle donnone sudamericane, all’inglese un po' troppo masticato di quelle africane. Poi improvvisamente tutto cambia. Scendi veloce, risucchiato dalla fretta e ti intrufoli in un cunicolo di scale mobili e saliscendi, fino ad arrivare all’altra galleria, dove un nuovo treno ti assorbirà e dove ci saranno nuovi inquilini. Quest’ultimi belli, ben vestiti, curati, molti profumano, quasi lo stesso numero leggono impegnati un libro o un giornale. Molti altri, indipendentemente dal vagone, stringono tra le mani un passatempo elettronico. O un telefonino, o un blackberry, o un iphone, o un ipod, o una consolle, e si isolano dal mondo dietro due cuffiette che li fanno sognare. E dagli occhi spesso chiusi, direi proprio di si. Oppure volano con la fantasia verso un mondo virtuale, che per alcuni minuti li intrattiene e li aliena dal resto che scorre sui binari, fino alla prossima stazione. In questi momenti esiste molto tempo per pensare, per ritrovare il contatto con il proprio cervello, è in questi momenti dove tutti cercano di impiegarlo in una qualsiasi attività: da soli o con qualcuno, pur di non dover affrontare la convivenza del vagone. Ci si isola abitudinariamente, perché non abbiamo più voglia del contatto con gli altri. Gli altri sono di troppo, ognuno se potesse prenderebbe una metro privata, vagoni monoposto e riservati. Allora a cosa serve tutta questa diversità nell’ umanità se si cerca sempre la solitudine, e non il contatto con l’altro?


Molti sapranno rispondermi in modo studiato e veritiero, frutto di un enorme e approfondito impegno. Ma a me rimarrà sempre il dubbio e un po’ d’amaro in bocca… Perché se attacco bottone a una ragazza al bar, le offro da bere, le chiedo come si chiama, e poi ci si affida al potere disibinitore dell’alcool (che risolve i problemi sociali e personali che ci affliggono) che ci rende capaci di confessarli e concederli a questa sconosciuta, sono normale? Perché se provo a fare la stessa cosa in metro, sembro un maniaco? Siamo così schiavi del luogo, e delle circostanze, in cui ci troviamo per esprimere noi stessi, in quanto umani? E la risposta la si trova nel luogo dove tutte le risposte si possono trovare… il pub! Vecchi, giovani, asiatici, neri, pakindiani, stranieri di ogni sorta comunitaria e anche extracomunitaria, si trovano al pub. Tutti questi vari stili di pub sono accumunati da una costante; una K come comune divisore, che assembla tutti i locali di Londra. Da quelli chic di Soho e Piccadilly, a quelli alternativi di Brick Lane e Camden, a quelli popolari di Highbury e Hackney fino a quelli simil-retrò di Chelsea e Notthing Hill… la spinatrice! Esatto! La spina sempre inclinata verso il basso è la K. Un fiume in piena di birra, sidro, e voglia di aprirsi agli altri scorre inesorabile e implacabile. È una costante che non può essere confutata, ne contestata. Nel pub, il genere umano perde la sua abilità di raziocinio (quell’ abilità che lo fa autodefinire evoluto rispetto alle altre specie) e ritorna allo stato naturale. Anche se si è ben vestiti, o profumati, o composti, il pub in men che non si dica fa riaffiorare la natura primordiale dell’individuo.


Darwin, caro Charles, che qui dimorasti, perché correre alle Galapagos per studiare ed elaborare il trattato che ha cambiato la storia contemporanea, e non fermarti sotto casa, proprio accanto a te? Forse perché avendo constatato il fatto, tu che avevi già capito il processo evolutivo, avevi bisogno di conferme. Un esperimento scientifico, perché applicabile deve essere dimostrabile. Isaac, che qui giace, rivoluzionò il pensiero e il mondo, spiegando la gravità. Anche se secondo me l’idea gli venne vedendo continuamente i corpi umani tendere verso la terra appena usciti da un pub, più che osservando una mela. E li si deve essere chiesto: perché? Eh si caro Charles, dovevi andare all’ equatore, altrimenti la tua teoria non poteva essere dimostrata efficacemente in natura. Nel pub, gli uomini si tramutano in spregiudicati bevitori e le donne in spregiudicate bevitrici. Si perché qui non c’è più differenza: i sessi si equivalgono, le convenzioni sociali saltano, e ci si approccia l’un l’altra con semplicità. Ci si ritrova a compiere quello che per il mondo animale è il rito dell’ accoppiamento. Fondamentalmente si sa che entrambi si vuole il rapporto fisico, e ci si orienta verso il genere opposto proprio come in un rituale. Si sceglie tra le varie opzioni e si approccia la prima che dice si! Il rituale vede il suo proseguirsi con l’aiuto di una combinazione di vetro e liquido, che fungono da oggetti rituali. Attraverso di essi, ci si avvicina sempre più al possibile partner. Prima spiritualmente, poi fisicamente, trovando i punti in comune, fino a quando non si arriva al contatto. Quando il rituale vede il suo punto più importante? Quando scatta il momento della decisione se uscire insieme dal pub o meno. È il momento topico che tiene sulle spine tutto il branco.


Già dimenticavo il branco: perché al pub l’essere umano va sempre in compagnia di amici/amiche, e il naturale cambiamento di stato trasforma la compagnia in branco. Non ci si parla più tra elementi del branco, quando uno dei componenti è nel mezzo del rituale, si comunica a gesti, con segni inequivocabili delle mani, o della testa a volte con il labiale. Questo alfabeto l’ individuo umano lo possiede in modo innato, il branco capisce immediatamente se il suo elemento potrà proseguire il rituale da solo, o se invece tornerà con la coda tra le gambe… o meglio con un due di picche tra le mani. Questo è quanto! La metro è il posto in cui si potrebbe, in modo lucido e educato, condividere con moltissimi coinquilini -temporanei- le proprie passioni, e magari trovare chi le condivide e sentire il bisogno di approfondire quella conoscenza; invece ci si isola dietro a un confine non scritto, da ogni altro individuo intorno. Mentre al pub si entra e si raggiunge velocemente la condizione primordiale, animale, naturale dell’ essere umano. E si entra sempre con la speranza che questa condizione non possa sfociare nel più freudiano dei concetti… la riproduzione con chi più ci attrae tra gli individui.



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Alberto Vitali Cipressi, è un immigrato italiano Londra, che senza nessuna presunzione cerca di riportare i suoi commenti e le sue riflessioni, sullo spaccato di mondo, che abitualmente vive. Non si propone nessun obiettivo finale, se non quello di fornire una sua personalissima visione di ciò che lo circonda.

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