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martedì 31 agosto 2010

Il senso del progresso

Focus



Le aspettative sul futuro, il positivismo spicciolo e la grande menzogna.

Fin qui tutto bene, fin qui tutto bene. Colui che scivola in caduta libera verso l’impatto inevitabile con il suolo cerca sempre di mantenere un contesto di positività: fino qui tutto bene!

Così siamo noi, così sono io. Convinti che le cose vadano bene sol perché ancora non vediamo il cemento, sol perché non vogliamo vederlo, è più comodo così.

Non sono un catastrofista, uno che predica diluvi universali o apocalissi.

Sono un borghesuccio qualsiasi che è convinto che l’uomo troverà sempre una soluzione allo sfacelo che è stato creato, alla porcheria che abbiamo attorno.

Strano, però. Le colpe sono sempre al passato, le soluzioni sempre al futuro. Fin qui tutto bene, fin qui tutto bene…. Noi siamo intonsi e senza peccato.

Ho deciso di essere eretico con me stesso, prima che con gli altri.

Questa sicurezza, questa fiducia nell’uomo, è ben riposta oppure è solo una comoda scusa per spostare il problema in avanti, per iscrivere in competenza ciò che è già da contabilizzare in cassa?

Si. La risposta è secca. Mi sto semplicemente trastullando, autocompiacendo, giustificando. Farei di tutto per non ammettere di essere io il problema, di essere io colui il quale non agisce e si accontenta dello status quo.

Tanto, prima o poi, una soluzione la si trova.

Questo è il positivismo spicciolo, la falsa fiducia nella divinità Ragione, lo strascico latente di un’età dei lumi che non vuole esaurirsi.

Davvero sono/siamo convinti che una soluzione si trova sempre? Davvero il progresso è sempre andare avanti?

Oggi sento che devo mettere in discussione anche questa convinzione profonda, non per contraddirla, ma, quanto meno, per rimodularla.

Mi occorre un sistema di pensiero nuovo che sia capace di trovare una via, una traccia laddove i sistemi di pensiero correnti non mi sembrano avere alcuna speranza di progredire.

Lo scorso secolo ci ha lasciato in eredità due modelli di Stato, due modelli politici contrapposti.

Il modello comunista ha dimostrato il suo limite nella cupidigia dell’uomo, nell’impossibilità di essere null’altro che utopia.

Il modello liberale (con le sue derivazioni iper-liberiste e neo-liberali) è parimenti ancorato a considerazioni vetuste e incapaci di aggiornamento.

In effetti, il tema del contendere si è fissato su un istituto di diritto naturale del quale oggi non si percepisce più la centralità nel sistema sociale: la proprietà privata.

Negata nel sistema comunista, esaltata nel sistema liberale.

La verità, oggi, è che il concetto stesso di proprietà privata è venuto progressivamente a dilatarsi, ad includere forme di appartenenza molto meno pregnanti della “proprietà”. I beni, nella società del mercato del consumo, sono considerati in funzione della loro capacità di produrre un utile o un beneficio, indipendentemente dal contesto formale della titolarità.

Una automobile, ad esempio, dovrebbe essere considerata per la sua capacità di trasportare un soggetto da un punto A ad un punto B, non per il valore intrinseco di un oggetto che si svaluta del 20% appena uscito dalle porte del concessionario e di una percentuale progressiva per ogni anno di utilizzo.

La proprietà non ha più il ruolo di motore dell’economia e della società, per questo le teorie politico-economiche dello scorso secolo non sono più sufficienti a governare questo tempo di passaggio e di cambiamento.

Io sento che occorre ridefinire i rapporti tra uomo e risorse, ridefinire il senso di centralità dell’uomo nel creato (vedi su questo blog “la fine del pensiero antropocentrico”), rimodulare i ritmi e la capacità di produzione industriale per assecondare il respiro della natura che volte va ed a volte viene.

Soprattutto, occorre liberare il mercato delle idee dalle pastoie burocratiche e legali che affliggono la cd proprietà intellettuale. Come si può minimamente supporre che “tanto una soluzione si trova” se la capacità di inventare e creare è uccisa da monopoli commerciali e pastoie giudiziarie?

L’uomo è sicuramente capace di trovare una soluzione al problema, ad ogni problema. Ma oggi, questa soluzione potrebbe non trovare la possibilità di creare beneficio per la collettività a causa dei lacci legali (si pensi al settore farmaceutico o agricolo).

Ecco. Questa è la grande menzogna. Sfruttiamo tutto ciò che ci capita sotto mano come se fosse inesauribile, mentre blocchiamo l’accesso alla conoscenza come se fosse in via di estinzione.

Certamente, da oggi per me non sarà più possibile prendermi in giro, ingannarmi nella fiducia positivistica dell’uomo figlio di Dio.

Fin qui tutto bene, fin qui tutto bene… e dopo?

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