Creativity Papers blog
Rivista di scrittura creativa, notizie e approfondimento

Ultimi articoli

mercoledì 6 ottobre 2010

Last Blues


di Lagrandefame

"Il bluesman è colui che strappa la nota allo strumento come se strappasse un lembo di vita alla morte", disse un tempo il Dio del blues nel suo Vangelo Maledetto. E Marlon è ciò che ha fatto per circa vent'anni: ha disperatamente strappato note alla sua chitarra acustica come per strappare ogni volta la propria vita alla morte. Ha sempre cominciato i suoi concerti sapendo di essere in precario equilibrio, come se dalla sua musica dipendesse tutta la propria futura esistenza, e anche quella dei suoi fans. Marlon, pseudonimo di un tristissimo Serafino Cumigliato, ha sempre suonato "per non morire o, peggio ancora, per non impazzire" come ebbe modo di dire anni fa uno scrittore suo amico. "Marlon", sempre secondo l'amico scrittore, "non è soltanto un bluesman. Marlon è un blues".
Marlon ha avuto il coraggio e la sfacciataggine di mettersi a suonare da solo, con una chitarra acustica, e per di più blues, scacciando ogni arrivista che volesse sfruttare l’occasione di accompagnarlo. Una scelta, negli ultimi vent'anni, da folle, da uomo che ha certamente deciso di mettere a rischio il proprio essere in un mondo ingordo e carnivoro. Quando era, e lo è tuttora, un'assurdità far suonare un solista blues nei locali, lui è riuscito a trasformare quest'assurdità in un'assurdità per i suoi colleghi musicisti ma non per sé. Marlon ha caratterizzato i propri spettacoli non soltanto con la sua voce e il suo stile chitarristico unici, ma anche, e forse soprattutto, con il suo modo tutto personale di stare seduto sul palco; con le sorprendenti innumerevoli espressioni, sempre diverse, che il suo viso generosamente ha regalato al pubblico; con il suo modo coinvolgente di dimenarsi su uno sgabello tutto nero; con la sua maniera ipnotica di osservare la gente; con il suo sorriso ironico che ha accompagnato i testi più pungenti e amari; con la fila di bicchierini di vodka davanti ai propri piedi malconci; con il suo esplosivo e affascinante evolversi durante la serata. Il pubblico, oltre che le orecchie, non ha mai tolto gli occhi dalla sua forma così espressiva mobile e modellabile, a seconda dei pezzi che Marlon ha suonato o a seconda dei suoi umori. I suoi fans lo adorano, lo hanno sempre idolatrato e Marlon, sinceramente, si è sempre commosso di tutto questo affetto che, mai freddo e distaccato, non ha mai smesso di ricambiare.
Marlon è un uomo autentico, non è un buffone. Nonostante i molti suoi pezzi ora malinconici ora rabbiosi ora drammatici, lui, nei rapporti con i suoi simili, non si è mai lamentato di nulla.

Marlon ha smesso di suonare da circa mezz'ora. Ora è in un angolo sotto il piccolo palco del Cloaca Club a rimettere la sua acustica nella custodia e a dare un'occhiata a una moltitudine di fogli.
Si volta discretamente, guarda com'è la situazione nel locale. Buona parte del pubblico è sparita, vi sono soltanto una dozzina di uomini e donne di mezza età che parlano fittamente tra loro attorno ai tavolini ricolmi di bicchieri sporchi. Marlon, lentamente, s'allontana dal palco e si dirige al bancone. Si lascia pesantemente andare su uno sgabello. Ordina un bicchierino, se lo porta alle labbra, assaggia, ripone il bicchierino sul bancone. In quell'istante lo sgabello alla sua destra si riempie di una sagoma, un giovane occhialuto sorridente. Guarda Marlon. Marlon lo osserva con la coda dell'occhio, pronto a sopportare il prossimo verso dell’animale che sicuramente ha voglia di parlargli.
- Posso avere l'onore di offrirti da bere, Marlon?
- Grazie, ho già il mio bicchiere.
- Bè, ti offro il prossimo. Che bevi? Aspetta, aspetta…Tu bevi…Tu bevi vodka, vero?
- Verissimo, io bevo vodka.
- Il prossimo te lo pago io, anzi i prossimi due.
- Facciamo i prossimi cinque, va bene?
- Ehm…Ma certo! Va benissimo.
- Ottimo.
- Io sono Goffredo.
- Ciao Goffredo.
- Volevo farti i complimenti.
- Sei gentile.
- I tuoi blues spaccano il culo, lo sai Marlon?
- A chi spaccano il culo?
- A tutte le canzonette del cazzo che si sentono oggi in giro.
- I miei blues non sono una mazza da baseball, Goffredo.
- D'accordo, ma converrai con me che spaccano lo stesso il culo a tutta quella merda che sentiamo in giro, no?
- Amico mio, sei tu che vai in giro ad ascoltare merda. Io non ascolto merda. Sia chiaro.
- Ma le radio, la televisione…Insomma, tutto quello schifo.
- Siete voi che volete rimpinzarvi di merda. Lascia stare la televisione, e per quanto riguarda la radio…bè, vedi di beccare quella giusta. E poi, con tutta la tecnologia di oggi, internet e tutto quanto… Un po’ di pazienza e una discreta dose di buon orecchio e avrai ciò che vorrai.
- Vuoi dire che c'è della buona musica in giro?
- Certo. Siete voi che avete il cervello come una cloaca.
- Ma gli anni sessanta, settanta…
- Ehi, ehi! Quando la smetterete di fare sempre i paragoni col passato? Il passato è sempre ingombrante. Oggi c'è altro. Basta saper scegliere.
- Ma lo spirito di quegli anni…
- Oddio…
- Non credi che dovremmo rituffarci in quegli anni?
- Senti amico, calati un allucinogeno del cazzo e tornatene pure nel sessantanove. Che discorsi sono questi? Quel tempo non c'è più, e mi meraviglia il fatto che sei molto giovane.
- Ma tu vieni da lì!
- E questo cosa cazzo c'entra? Stiamo parlando della musica di oggi o sbaglio?
- Bè, s'era iniziati…
- Io ti ribadisco che oggi c'è dell'ottima musica, se si fa il fottutissimo sforzetto di staccarci un attimo da quel periodo…ingombrante.
- Può darsi che tu abbia ragione, però io volevo riferirmi anche a quello che rappresentava la musica di quegli anni, il significato intrinseco, l'immagine...
- Se quella musica ti piace è bene e sarei d'accordo con te ma…
- Volevo dire…Insomma quello che i musicisti volevano dire…
- Hai mai letto un testo dei Led Zeppelin? "Da quando ti amo…", "Lavoro dalle sette alle undici..., "Spremi il mio limone baby…". E' questo che volevano dire?
- Ma gli altri? Bod Dylan? Joan Baez?
- Oh Cristo, per caso vuoi metterti a parlare pure del Vietnam?
- Insomma…Ecco, io volevo parlare del mito.
- Del mito?!
- Tutta quella gente, tutta quella musica rappresenta un mito.
- Quella musica è bella e niente più.
- E il mito?
- Il mito è soltanto un'icona, una figurina attaccata alla parete. Il mito è una sontuosa pippa mentale.
- Il mito è un ideale, quella musica rappresentava e rappresenta tuttora un ideale.
- Quella musica rappresenta semplicemente un buon motivo per continuare a vivere piacevolmente. Nient'altro.
- Forse sei disilluso.
- Forse sono disilluso, sì.
- Faccio un esempio?
- Di cosa parli?
- Ecco, io sono un tuo grande, grandissimo fan. Ti seguo da molto tempo. Io e migliaia di altre persone ti seguiamo da anni, ovunque tu vada, in qualunque posto tu vada a suonare. Prima che io potessi avere il piacere di conoscere la tua musica, molti, meno giovani di me, mi hanno parlato tantissimo di te. Me ne hanno parlato come se tu fossi…come se tu fossi…
- Oh, oh, taglia corto! Stai forse dicendo che nel mio piccolo io sarei un mito? E' così?
- Si! E' così! Tu per me rappresenti un mito, e vivente per di più!
- Non voglio sentire altre stronzate. Grazie per i drink…
- No, aspetta…
- Cosa?
- Non ci credi? Le tue canzoni, i tuoi blues sono molto importanti per me, per gli altri. Sai benissimo che quello che canti è un'immagine delle nostre vite. Anzi, lo specchio delle nostre esistenze.
- Siete voi che venite a raccontarmi le vostre vite, le vostre storie. Venite a trovarmi, mi offrite da bere, vi sbronzate fino a fare schifo e poi mi spiattellate tutto. Io non faccio altro che prendervi e mettervi in musica. Da sempre. Ecco quello che faccio.
- E nessuno lo fa come te. Lo sappiamo che tu ci ascolti, lo sappiamo che tu, con la tua straordinaria musica, canti le nostre esperienze.
- Ora basta.
- Noi ci sentiamo rappresentati da te.
- Io canto le vostre miserie, nient’altro.
- Lo so, lo sappiamo!
- Ma che sei, un giornalista che scrive su una rivista cattolica?
- Macché, sono un tuo sincero estimatore! Tu sei il mio autentico riscatto! Tu sei il mio grande risveglio dopo una notte sciagurata! Tu sei la mia voce di dentro che non riesce ad esplodere! Tu sei il mio mito!
- E tu invece sei un coglione alcolizzato ed esaltato!
- Ma che ti prende? Io sono qui per idolatrarti.
- Tu sei qui per rompermi le palle! Tutti siete qui per rompermi le palle! Andate a rompere le palle a qualche altro mito!
- Forse sei in crisi? Posso avere il grande onore di venire in soccorso al mio mito?
- Vai in soccorso a quella zoccola di tua sorella!
- Ma perché parli in questo modo?
- Ne ho abbastanza delle vostre storie di merda, capito?
- Eppure stasera non mi sembrava che ne avessi abbastanza quando eri sul palco.
- Stasera ho preso il doppio della paga rispetto al solito, ma è stata l'ultima volta. Basta, stop, ho chiuso con le vostre miserabili storie.
- E io che volevo raccontarti la mia di storia…
- Non pensarci nemmeno, va bene?
- Ma perché tutto questo astio?
- Mi si sono spaccati i coglioni ad ascoltare ogni volta le vostre sciagure, le vostre miserie, la vostra solitudine di merda, il vostro alcolismo.
- Ma credevamo ti interessassero, che costituissero la materia prima per la tua musica meravigliosa.
- E invece direi proprio di no! Almeno non più!
- Ci sembrava ti commuovessi ogni volta ti raccontavamo le nostre disavventure.
- Non era commozione, idiota, era disperazione! Cristo, mi sembrate una comunità di rincoglioniti che pare preghino il padreterno per augurarsi ogni sorta di tragedia!
- Non è giusto quello che stai dicendo. E se non ti seguissimo più?
- Me ne sbatto altamente i coglioni di quello che volete fare. Sono stufo delle corna dei vostri uomini, delle vostre donne che succhiano cazzi agli amanti, delle vostre sbornie per dimenticare, della vostra solitudine da suicidio, delle vostre pezze al culo, dei vostri affitti arretrati, della bambina che sta male, delle vostre guerre di principio, del vostro degrado sociale, delle vostre sconfitte in tutto. Cristo, avrete pur vinto una stracazzo di partita a carte nella vostra vita, no?
- Tu ci stai rinnegando!
- Sì, io vi rinnego!
- E noi rinnegheremo te!
- Ma fate quello che cazzo vi pare!
- Bruceremo i tuoi dischi!
- Senti, faccia di merda, hai mai pensato a me?
- Cosa?
- Qualche stronzo di voi s'è mai degnato di chiedermi "ehi Marlon, stasera ti vedo un po’ giù, che hai?", eh? L’avete mai fatto?
- Noi pensavamo…
- Che cazzo pensavate?
- Tu ci sembravi superiore a tutte le nostre miserie.
- Perché non cambi droghe imbecille? Superiore a cosa?
- Per noi eri il mito incrollabile.
- Dì un'altra volta quella parola di merda e ti spacco la testa con la mia stessa chitarra.
- Io…
- Tu niente! Io sto messo peggio di voi! Non lo sapevate forse?
- Ma noi non siamo come te che possiamo disporre di un'arte come la tua per…insomma, per fare quello che tu hai fatto per noi.
- Bevo quindici ore su ventiquattro. Lo sapevi questo?
- Puoi smettere.
- Ho il sonno disturbato. Le donne mi mandano a cacare dopo pochi mesi, mi scopano e poi mi dicono che sarebbe stato meglio non conoscermi. E pure gli amici se ne vanno e io resto solo nella mia stanza d'affitto a suonare come un disperato per non morire e per non impazzire di solitudine e non guadagno abbastanza per vivere dignitosamente, per poter convincere un'anima buona a condividere la sua vita con me.
- E i tuoi dischi? Le tue serate?
- Debiti, nient'altro che debiti: la mia ex moglie, mio figlio che non riesco a vedere…
- Vuoi dire che con le nostre sciagure paghi le tue sciagure?
- Credevi che avessi una villa in Sardegna?
- E' paradossale.
- Capisci perché non ne posso più delle vostre storiacce?
- E cosa farai?
- Non so. Scriverò canzoni per gli handicappati.
- Ma non puoi abbandonarci così! Veniamoci incontro. Vedrai, ti aiuteremo.
- No, basta. Prendetevi tutti i liquori che m'avete offerto, le sigarette, gli occhi che m'avete fatto vedere, le bocche che m'avete fatto ascoltare. Rendetemi libero dalle vostre miserie e io mi libererò dalle mie.
- Pensaci bene, Marlon.
- Scrollatemi di dosso la vostra tristezza. Lascio a voi i vostri blues. Imparate a suonarli da soli.
- Tu non puoi finire così.
- Posso finire peggio.
- Nooo, il mito che crolla!
- Lascio su questo bancone i miei ultimi accordi.
- Te ne vai?
- Sì. Addio.
- Scriverò un libro su di te, Marlon.
- Sarò già sotto la terra a vivere la mia seconda solitudine.
- Lo leggeranno i nostri figli e sapranno quale grande maestro sei stato per tutti noi.
- Non me ne frega un cazzo, dovesse leggerlo anche mio figlio.

Marlon scola l'ultimo bicchierino di vodka e, senza guardare il suo interlocutore, s'alza bruscamente dallo sgabello e si dirige all'uscita del locale, senza nemmeno preoccuparsi di caricarsi sulle spalle il suo strumento. La scia che lascia nel locale è fatta di bestemmie e di palpabile tristezza. La serata è fresca e limpida, non c'è molto traffico, e Marlon decide di tornare nella sua angusta stanzetta in affitto a piedi, come gli capita di fare quasi sempre quando suona in città, da circa vent'anni. E da circa vent'anni Marlon torna a casa in compagnia della sua pesante ombra, lasciandosi alle spalle applausi e complimenti, inutili per trascorrere una notte meno angosciante, inutili per trascorrere una notte meno solitaria del solito.



Nessun commento:

Posta un commento