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martedì 9 novembre 2010

Mulini a vento


di Nuccio Cantelmi

Sognare di cambiare le cose non significa cambiarle davvero. Eppure, in questa epoca frammentata ci occorre una visione di insieme. Ci serve un sogno… e qualche obiettivo concreto. Il sogno. Il sogno di un tempo in cui la miopia del singolo sappia coniugarsi al benessere collettivo. In cui vi sia coincidenza di massima tra l’interesse individuale e quello collettivo, pur senza mai sminuire il valore della persona. Difficile? Impossibile? Che sogno sarebbe, altrimenti.
I mulini. Un sogno non è tale senza qualche ostacolo insormontabile da abbattere. Anzi, maggiore è la sfida, tanto più dovrò trovare il gusto di affrontarla. Per questo motivo, mi sono imposto di individuare alcuni passi concreti che ritengo debbano essere percorsi per avviare il cammino verso la realizzazione di un sogno talmente utopico. Belli o brutti che siano, sono questi:


1) Software libero nella pubblica amministrazione.
Il software libero non rappresenta la soluzione a tutti i mali del mondo. Il software libero rappresenta un modello. Un modello di vita partecipata, distribuita, solidale. Il software libero ha cambiato il mio modo di vedere le cose, elevando il senso della libertà dell’individuo di attingere alle risorse collettive e, nel contempo, di contribuire ad un percorso comune.


2) Ridefinire il senso urbanistico.
Ripensiamo le città. Ripensiamo il modo di intendere la città, il tempo, l’interazione sociale. Basta alla costruzione entropica di agglomerati senza collegamento e struttura. Basta al cemento che solidifica interessi di palazzinari e trasforma la terra fertile in piantagioni di edifici tristi.
Basta al traffico come elemento indefettibile della quotidianità. Il traffico dovrebbe essere un accidente, un imprevisto, non il buco nero della nostra socialità che sottrae tempo alle relazioni lasciandoci intrappolati in scatole di alluminio.
Come conseguenza: fine dell’economia di sovrapproduzione automobilistica.


3) Tracciabilità dell’impatto dei prodotti al consumo.
Consumatore. Questo io sono. Ho diritto finché consumo. Ma non ho informazioni a sufficienza, per questo sono assolto da ogni responsabilità.
Quanto consuma il mio cellulare? Quante risorse sono state sprecate per costruirlo e quante ne saranno per smaltirlo. Qual’è l’impatto ambientale di questo piccolo strumento?
Qual’è l’impatto alla salute dell’utilizzo di un dispositivo del quale non so nulla in merito alla natura delle sostanze che lo compongono?
Qual’è l’impattto sociale dell’attività di realizzazione del prodotto, quante persone hanno perso la vita nelle miniere, nelle fabbriche, quali diritti sono stati calpestati.
Ecco tutto ciò io devo sapere. Voglio essere responsabile delle scelte e voglio poter scegliere di modo che il mercato risponda ai miei gusti consapevoli e non al capriccio del momento.


4) Fine dell’assistenzialismo pubblico.
La mano pubblica deve cessare di intervenire nell’economia. Interi settori commerciali vivono solo grazie all’intervento pubblico. Anzi, l’intera economia italiana è dipendente dell’intervento di Stato, ovvero della politica.
Abbiamo, così, imprenditori falsi che non sanno amministrare e non sanno sognare, che tirano a campare sull’elemosina pubblica. Abbiamo imprese che vivono di incentivi, vivono a balzi, senza prospettiva, senza investire nel futuro.


5) Risorse collettive alla riscossa.
Ecco dove lo Stato non può esimersi dall’investire: sanità, istruzione, giustizia. Questi sono i commons cui non si può e non si deve dismettere l’impegno. La conoscenza, in particolare, è il fattore determinante. Libera, condivisa, diffusa.

Ecco, se avete avuto la pazienza di leggere questo sproloquio avete la possibilità di ignorarlo liberamente come succede di solito (è vostro diritto).
Ma se anche voi avvertite l’esigenza di inquadrare un mulino a vento da combattere anche a costo di affrontarlo da soli, condividete il vostro mulino con me.
Almeno, non mi sentirò così solo.

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