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venerdì 28 gennaio 2011

La mercificazione delle relazioni


pubblicato da Nuccio Cantelmi
Che la fine sia vicina o lontana poco importa, il danno è già stato fatto. Infatti, il giorno dopo l’uscita di scena del signor Silvio Berlusconi da Milano, detto “il Cavaliere”, la cui figura ha dominato l’ultimo ventennio della storia politica italiana, non cambierà assolutamente nulla nel nostro Paese, perché la trasformazione è già avvenuta. Contrariamente a quanto si possa pensare non ha interessato né le istituzioni, né la politica, né il costume (di cui è stato solo un degno rappresentante) ma la comunicazione.

Il concetto di comunicazione a cui mi riferisco è un concetto puro, originario, fondamentale, che non si basa sull’assunto che comunicare significhi, come molti erroneamente pensano, inviare un messaggio da un emittente A ad un ricevente B. Il principio fondamentale a cui faccio riferimento non considera la comunicazione un processo lineare, bensì circolare. Comunicare significa, infatti, “entrare in relazione”. La comunicazione, quindi, è bidirezionale, mai ad una via, ma soprattutto presuppone una capacità di relazione che va a di là del semplice trasferimento di contenuti e quindi anche una capacità di mettersi in ascolto dell’altro.

Il “modello berlusconiano” di comunicazione, che purtroppo ha fatto scuola soprattutto tra gli addetti ai lavori, è sempre stato, sin dagli esordi, unidirezionale (non prevede l’ascolto del feedback e si sottrae quasi sempre al confronto), aggressivo (basta analizzare il tono degli slogan) e prepotente (occupa tutti gli spazi). Non prevede il rispetto dell’interlocutore, non si mette in ascolto. Una comunicazione egocentrica, a volte paranoica, quasi sempre sterile. La comunicazione di un venditore che deve convincere nel breve periodo che ciò che sta vendendo è un buon prodotto, ma incapace di creare relazione. Per questo fragile e destinata a durare giusto il tempo della transazione.

Per scongiurare questo pericolo e sopperire all’incapacità di entrare in relazione, il modello deve prevedere necessariamente l’occupazione di tutti gli spazi, l’emarginazione delle voci di dissenso, la proprietà diretta o indiretta dei mezzi di comunicazione, il potere di “far cambiare idea” ai più tenaci, lo scambio di favori.

Ma soprattutto la mercificazione delle relazioni che sono sempre più superficiali e funzionali, stabilite solo in funzione di un interesse, di uno scopo preciso, per il tempo necessario al raggiungimento dello stesso. Una volta raggiunto le relazioni muoiono, con la stessa facilità e velocità con cui sono nate. All’aumentare della loro quantità si registra, contemporaneamente e spesso, una diminuzione della loro qualità e della loro durata.

Ecco qual è la cicatrice più profonda che il ventennio Berlusconiano lascerà nella società italiana, un modo di intendere il rapporto con l’altro, sia esso donna o uomo, ricco o povero, imprenditore o operaio, guardia o ladro, di destra o di sinistra, in funzione di qualcos’altro. Berlusconi ha incarnato questo modello, nato nell’era Craxi e fatto emergere dalle inchieste di Mani Pulite all’inizio degli anni ’90, e lo ha spacciato per vincente utilizzando i mezzi di comunicazione di cui dispone per amplificarlo e diffonderlo massivamente ed è su di esso che si basano ormai sempre più le relazioni della stragrande maggioranza dei cittadini di questo Paese, il cui tessuto sociale appare sempre più frammentato e individualista, in cui la comunicazione affettiva ha lasciato il posto a quella funzionale. Un Paese basato su relazioni di questo tipo è un Paese fragile, privo di coesione sociale, carente in fiducia, incapace di fare rete e di disegnare il proprio futuro, perché incapace di costruirlo su ciò che gli permetterebbe di funzionare: le relazioni affettive, quelle vere, leali, le uniche destinate a durare.

Massimiliano Capalbo

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