
di Andrea Pili.
La recente protesta dei lavoratori di Portovesme sarà il primo banco di prova per il neoeletto presidente della regione Sardegna Ugo Cappellacci. Gli operai dell’Eurallumina, stabilimento in cui si produce allumina- materia prima da cui si ricava l’alluminio- dalla bauxite, sono giunti ad occupare il loro posto di lavoro in protesta contro la chiusura degli impianti, decretata dall’azienda per un anno.
Chissà se i settecento operai che dipendono dall’Eurallumina conoscono Oleg Deripaska o sanno anche solo pronunciare il nome di Alexander Bulygin. Essi sono i responsabili della Rusal, la multinazionale industria dell’alluminio russa, proprietaria dello stabilimento sulcitano. L’azienda ha deciso la chiusura nei suoi piani; essa reputa Portovesme poco conveniente in questo momento di crisi economica. Il costo dell’alluminio è precipitato e nulla ha potuto smuovere i magnati russi dalle loro intenzioni.
“Nonostante l’intervento del governo e l’appassionata difesa fatta dai parlamentari, la Rusal ha deciso di chiudere”. In queste parole del senatore Piergiorgio Massidda (Pdl) si può racchiudere tutta la vicenda e le sue logiche conclusioni. Da una parte un magnate russo, il cui viso è sconosciuto ai più, le cui decisioni stanno per rovinare la vita di centinaia di operai sardi; dall’altra il parlamento democraticamente eletto del popolo, sede del potere, le cui deliberazioni non hanno la minima competenza per tutelare le vite dei nostri cittadini e si pone in una condizione naturalmente inferiore rispetto alla multinazionale dell’alluminio. La domanda legittima è: dove risiede oggi il potere? Le democrazie occidentali rispondono ancora ai fini per cui sono state create?
E’ ormai evidente che gli stati liberali si sono ridotti a dei gusci vuoti, ci sembrano come quei spaventapasseri animati dal vento, organismi privi di significato. Non si può certo affermare che un cittadino sia libero solo per il fatto di godere del diritto di voto, se non dispone del potere necessario per tutelare la propria esistenza. Non si può chiamare “Stato” un qualcosa che non corrisponde più alla struttura razionale di questo termine; il parlamento liberale avendo abdicato ai grandi padroni dell’economia mondiale la gestione dell’economia ha ormai perso ogni significato di fronte ai suoi cittadini in maniera definitiva. Perché se è vero, come è vero, che l’economia è il motore della storia e che essa incide più di ogni altra cosa sulla carne dei cittadini, allora il parlamento, espressione dello “stato” liberale che ha rinunciato al controllo del mercato, non è più il rappresentante del potere del popolo ma è il luogo in cui questo potere è alienato. Qui sta la più grande vergogna dei nostri tempi, ovvero la presenza di istituzioni fuori dal tempo ed incapaci di decifrare le esigenze di evoluzione democratica testimoniate da prese di posizione come quelle dei lavoratori di Portovesme. Ulteriore prova del disagio popolare in Sardegna è venuto dalle recenti elezioni che hanno fatto segnalare una percentuale di astenuti pari al terzo degli aventi diritto.
Un altro spunto di riflessioni è offerto dal materiale lavorato nell’Eurallumina: la bauxite. In Italia solo in Puglia abbiamo dei rilevanti giacimenti di questo materiale; tuttavia, quello utilizzato nello stabilimento sulcitano proviene addirittura dall’Australia. Eterno problema del popolo sardo: creazione di cattedrali nel deserto, imprese completamente avulse dal territorio isolano e dunque prossime al fallimento come dimostrato dalla odierna situazione industriale sarda. La crisi recente non è quindi l’unica responsabile dei problemi economici ma vi sono tare provocate dal nostro capolavoro chiamato “sistema liberale parlamentare” che ha posto che un cittadino italiano fosse dipendente di un russo e lavorasse materiali australiani. Vorrei che si definisse “sistema” affinché il senso della parola “Stato” , sacra agli uomini, non ne rimanga compromesso anche alle generazioni future le quali hanno il dovere di porre fine alla vita di tale lutulenza. Oggi tutti gli spiriti liberi devono voltare le spalle al parlamento; la visione di esso ostacola quella del futuro, di una democrazia sociale nazionale e partecipativa, di un nuovo modello economico in cui i cittadini siano protagonisti attivi e proprietari, della libertà reale.
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