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venerdì 9 ottobre 2009

Una fantastica regione chiamata Calabria

Seconda pagina - Rassegna Pop


di Ettore Gallo.

C’era una volta una Regione fantastica chiamata Calabria, che faceva parte di uno Stato fantastico chiamato Italia.
Le strade di questa Regione erano lastricate con un fantastico materiale chiamato Cubilot, i tetti delle case erano in uno stupendo materiale semitrasparente detto “amianto”, che si sbriciolava magicamente tra le mani. In questa Regione non si buttava mai via niente: pensate che, per risparmiare, si costruivano intere strade e piazzali con i rifiuti delle fabbriche!
Questa Regione era governata da un’associazione assolutamente no profit, composta da uomini ligi al dovere e ottimi servitori dello Stato; quest’associazione si chiamava “’ndrangheta”. Il suo principale obiettivo era quello di spedire in cielo i bambini calabresi e “arruolarli” nel Firmamento come angeli. Cosa sorprendente era che quell’associazione non chiedeva assolutamente nulla in cambio del servizio reso: faceva evaporare i bambini come acqua al sole senza chiedere assolutamente niente in cambio!
In questa meravigliosa Regione i medici erano bravissimi: facevano di tutto per mandare gli uomini in Paradiso e non tentavano neppure di tenerli attaccati a quest’inutile vita. Erano talmente bravi che, se si era fortunati, bastava un’appendicite per volare nell’empireo.
Un bel giorno, sulla costa di un mare color olio chiamato “Tirreno”, spuntò uno strano essere: era tutto verdognolo, era ricoperto di squame e aveva inciso sul petto uno strano simbolo, un puntino nero sul quale convergevano tre strane fette di torta, sempre nere.
La mostruosa creatura guardò il Mondo che le si apriva davanti e annuì.
«Penso che qui mi troverò proprio bene» pensò.
S’incamminò verso un fantastico paese chiamato Cetraro. Incontrò un anziano seduto davanti la porta di casa, all’ingresso del paese.
«Ciao, papà!» lo salutò.
Il povero vecchio, spaventato da quella visione mostruosa che pensava fosse la personificazione della Morte, scappò via a gambe levate che nemmeno Usain Bolt nei cento metri di corsa, mentre sui pantaloni si faceva strada una strana chiazza scura.
La creatura rimase per un attimo delusa, ma subito vide un altro vecchietto, gli si avvicinò e lo salutò con un “Ciao papà!”.
Stessa scena di prima…
Allora nel paese si diffuse la notizia di questo strano essere verde e puzzolente che si aggirava per le strade: tutti si barricarono in casa e sprangarono porte e finestre.
Il gigante buono si aggirava solo per il paese, finché vide un buon signore appartenente all’associazione no profit “ndrangheta” che stava svolgendo alcune operazioni assolutamente oneste presso il negozio di un commerciante e lo salutò con il vigore che usava solo quando incontrava un politico.
«Ciao, papà!» disse.
«Ma perché ci chiami tutti papà??» riuscì appena a balbettare il buon uomo.
«Perché sono vostro figlio! Mi sono generato da quel fantastico materiale verde che avete buttato in mare. Sono figlio di tutti i calabresi, ma in particolar modo di voi della ‘ndrangheta, dei politici e degli industriali.» fu la sua risposta.
«Ciao, papà!» lo salutò.
Il buon uomo impallidì. Riuscì solo a sussurrare “Vattene!”, tirò fuori dalla cintura un onestissimo aggeggio di ferro e sparò tre caccole di piombo sull’addome del mostro buono. Ma queste non scalfirono minimamente le sue squame e caddero accartocciate a terra.
Le caccole del buon uomo fecero capire al mostro che quel mondo non faceva per lui.
Tornò, così, sulla spiaggia che lo aveva visto arrivare e si tuffò nel mare.
In acqua, presso un peschereccio abbandonato, lo aspettavano i suoi compagni che, venuti a conoscenza dell’esperienza dell’amico, si adirarono come squali che non mangiano da una settimana e decisero di emergere sulla terra ferma.

Questi esseri erano molto più cattivi del primo: i loro quattro occhi erano iniettati di sangue, le loro squame erano spesse e puzzavano che neanche una vecchia incontinente. Inoltre, ciliegina sulla torta, avevano persino il monociglio.
Alla loro vista gli anziani non solo andavano involontariamente di corpo, ma cadevano stesi a terra mezzi stecchiti.
I cetraresi stavano giusto festeggiando la scomparsa della prima creatura, quando furono colpiti da un terribile tanfo, che provocò tremendi conati di vomito.
Videro così arrivare quell’immondo squadrone con un terrore tale che a molti mancarono le forze e cedettero le ginocchia. La spedizione punitiva s’incamminò con fare deciso verso il campanile della cittadina, vi ci si arrampicò sopra senza molti problemi e i mostri orientarono il deretano peloso verso la folla tremante di paura.
S’inarcarono sulle gambe, strinsero gli addominali e tirarono sincronicamente uno scorreggione al napalm che fece tremare i vetri delle case e imputridì Cetraro, avvolgendolo in una mortale nube verdognola.
In pochi minuti tutti gli abitanti di Cetraro e di quella fantastica Regione chiamata Calabria morirono, uccisi da quella terribile nube tossica.
Non contò nulla che le vittime fossero oneste o meno, non importò la loro classe sociale: tutti volarono via dal loro corpo (per diverse destinazioni!), uccisi da quei mostri che loro stessi avevano creato.


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