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venerdì 22 gennaio 2010

Avatar - Pandora - La vita

Seconda pagina - Focus


di Celestino Fatica.

Prendo spunto da una nota scritta dal sempre stimolante Paolo Barone. Ho condiviso anche quella sul mio profilo.
Non voglio parlare del film Avatar, tanto discusso in questi giorni. Non sono un critico, tuttavia è evidente anche a me che la trama è ingenua e spesso scontata, e a volte alcuni passaggi non sono logici, che i cattivi sono troppo cattivi e i buoni troppo buoni.
Né voglio anticipare la trama. E allora? E' semplice: voglio dare degli stimolii affinché i miei amici vadano a vederlo, superando la tipica barriera del "è un film di genere", "non è un film, è una favola per bambini", "bah! fantascienza" e cose così che capitano sia a chi è troppo cinico, sia a chi ha la puzza sotto il naso (per fortuna tra i miei amici ce ne sono pochi così :)).
Tralascio anche qualsiasi commento sulla realizzazione grafica e sugli effetti speciali. Sono all'avanguardia e innovativi. In ogni songolo pixel dello schermo, se guarderete bene, troverete un piccolo miracolo, una sorpresa che vi farà rimanere a bocca aperta, ma anche senza tutto questo, anche senza il 3D, che comunque non guasta, anche senza una colonna sonora azzeccatissima, di Avatar è altro che colpisce profondamente.
Quando si va a vedere Avatar è come se ad un certo punto si spiccasse il volo da una rupe, si precipitasse giù a velocità supersonica, per immergersi, alla fine del tuffo, in un'acqua da mille anni attesa, anelata, bramata. E' come se ci si ricongiungesse e ci si riconoscesse con qualcosa di tuo che sapevi di avere ma non ricordavi più dove lo avevi messo.
Chi è il protagonista di Avatar? La vita. La voglia di vita, la voglia di una vita scevra dalle paure, di una vita "con", piuttosto che di una vita "contro".
Chi è il personaggio che rappresenta ciò nel film? Il pianeta Pandora: è lui, con l'insieme di tutte le creature che lo compongono/abitano, e degli spettatori che accettano di unirsi a lui, il vero protagonista di questa esperienza.
Pandora, e il suo vaso una volta aperto, ci mette direttamente di fronte a suggestioni emotive (ma anche ragionamenti, ma anche sensazioni) che non possono passare inosservate. Di fondo tutto quello che c'è nel film/non film "tocca" corde che in qualche modo mi arrischio a definire ancestrali. Proveniamo, e in qualche modo aneliamo di tornare, da/a un mondo in cui il rapporto essere vivente uomo/natura/tempo sia più in equilibrio.
Pandora solletica questo anelito, questo bisogno, appunto, ancestrale. Lo sentiamo che qualcosa ci è stato strappato, lo avvertiamo. Tuttavia la ragione, e un certo cinismo, non ci permettono di strapparci di dosso la corazza che ci siamo costruiti pian piano, la seconda pelle che ci serve, come le maschere per respirare e i bio-mech del film, a proteggerci da un mondo esterno che abbiamo contribuito a rendere inaccogliente e inospitale, almeno per quanto riguarda la cultura occidentale. Il confronto che appare stridente nel film è proprio tra questa cultura (della quale i simboli "marines americani e potenza tecnologica" costituiscono solo un aspetto) e culture "aperte" che fanno della diversità, della alterità una ricchezza profonda che si avverte ancor più volando un po' con la fantasia e immaginando una connessione globale (indipendentemente dalla modalità) tra esseri viventi, di fondo fatti, costituiti, delle stesse particelle di base originate nel big bang, appartenenti dunque alla stessa energia.
I riferimenti e le citazioni partono decisamente dalle filosofie orientali. Passano poi per la cultura degli Indiani d'America, per la loro simbiosi con i cicli naturali, con gli antenati, con gli spiriti. Ancora, volano sugli usi e costumi delle numerosissime tribù africane di cultura e filosofia bantu, che valorizzano ulteriormente il rapporto con l'altro, con la natura, con il pianeta. Tutte queste diverse culture nutrono un profondo rispetto, che a volte sconfina nell'amore, per tutto ciò che ci circonda.
Non è un caso che in tre luoghi così distanti tra loro (oriente, america centrale e settentrionale, africa nera) il motivo di fondo religioso, culturale, filosofico, sia comune.
Di fondo, in maniera ancestrale, è come se ci fosse un grido, un'anelito, un'esigenza di riconoscersi in un "tutto" più grande, di appartenenza ad un "insieme", a un qualcosa "di più". Questo bisogno più e più volte è stato portato su carta, su pellicola, e nell'industria del video game. Oltre ai riferimenti che troverete anche nella nota di Paolo, mi piace ricordare il ciclo della Fondazione di Asimov, che conclude virtualmente la storia dell'evoluzione dell'umanità nell'episodio in cui Golan Trevize, come un nuovo Adamo, viene posto di fronte alla scelta se aderire al progetto del tutt'uno col pianeta vivente Gaia, o favorire la cultura pseudoamericana tecnologica e individualista dell'Impero, o favorire la connessione neurale psicosociologica dei membri della Fondazione e della loro "mentalica". Ancora, gli affreschi fantastici di Clarke nei suoi romanzi ispiratori di 2001 odissea nello spazio e 2010 l'anno del contatto, che ipotizzano un'energia primaria che si serve di esseri viventi che hanno raggiunto un certo scalino dell'evoluzione (l'astronauta che "sceglie" di trasfigurare in qualcosa di diverso, il Nuovo Seme, per partecipare a un destino di portatore di vita, insieme ad altri esseri come lui) per condividere e diffondere la vita, l'intelligenza in ogni luogo dell'universo, ma tutte le forme appartengono alla stessa energia madre. Ancora mi piace ricordare l'italianissimo progetto "Sinkha" del 1998, un video-racconto in 3D trasformatosi poi in un progetto su carta, non avendo trovato i fondi per diventare un film. In Sinkha, gli esseri viventi sono chiusi in città considerate l'unico modo per vivere. Il mondo esterno è ormai inabitabile, ma una ragazzina, incredibilmente, riesce ad uscire e scopre forme di vita ignote, e riesce a parlare con loro attraverso un legame interiore mai sperimentato prima dagli altri della sua specie: e comprende. Comprende che la strada è l'apertura, non la chiusura nel guscio rappresentato dalle città. Ancora nelle saghe giapponesi del ciclo Final Fantasy, dove sempre grazie all'unione delle forze dei protagonisti con la materia senziente, con l'anima del pianeta (in FF VII si chiamerà ancora Gaia) in qualche modo l'uomo, nelle varie razze che lo rappresentano, riesce a raggiungere il proprio obiettivo, gli scopi che si era prefisso. Ancora, anche nel film in 3D dal titolo omonimo (Final Fantasy, del 2001), l'apoteosi del concetto di vita legata alla forza rigenerante di un pianeta Terra ormai totalmente distrutto. Tutte favole, come se per raggiungere ciò di cui in qualche modo ci sentiamo, senza saperlo, defraudati, occorresse, per forza di cose una sola metamorfosi: tornare bambini. Come se solo loro, i piccoli, fossero in grado di "vedere" (I see You, canta la canzone principale del film, che in linguaggio Na'vi significa "io vedo dentro te") veramente dentro alle cose. Come se solo loro non avessero bisogno di una storia contorta, complicata, ma si accontentino di una storia semplice, per certi versi ingenua. Come se solo loro fossero in grado, attraverso l'innocenza, di percepire l'essenzialità.
Tutte queste suggestioni, e di più, sono nel vaso di Pandora. Ieri, appena uscito dal cinema, ho scritto solo una cosa nel mio status, la ripeto qui, nella sua semplicità e banalità. "Andate a vedere Avatar. Prima di entrare, spegnete la testa. Lasciate accesa la pancia e regalatevi un sogno. E' un sogno, irreale, metafisico, etereo, poetico, idealista, Utopista. Pura emozione per il bambino che vi abita: quello che non può essere soffocato, mai. (e meno male)"

2 commenti:

  1. Questa è una visiona semplicistica della lettura di Avatar. Lo stesso film non è solo un approdo ad argomenti già trattati e ancor meno che non hanno uno spessore.
    Hai detto in parte cose che sono vere, ma non c'è solo una certa cultura "animista" al suo interno. Tuttavia per chi ha fatto il classico si possono notare scorci del tutto diversi, del tutto nuovi per una cinematografia che non ha più nulla da dire.
    Pensiamo soltanto alle tradizioni e gli usi di questo popolo. Cameroon non ha soltanto inventato "ex novo", ma ha studiato una cultura teosofica di questi pensieri, usi e costumi.
    Credo e ritengo che ci sia qualcosa di più, dietro al semplice fatto che l'uomo è messo in discussione...a partire dal marins che smette di uccidere, ad una popolazione "antlantidea" che scopre le risorse di un'altra civiltà.

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  2. "Semplicistica" mi sembra eccessivo... semplicistica è la visione di chi si ferma agli effetti speciali del film. Mi sembra che l'articolo approfondisca ansichè minimizzare.

    Giovanni Pili.

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