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venerdì 15 gennaio 2010

Scomoda proposta

Seconda pagina - Focus


di Nuccio Cantelmi.

L'informazione è un bene prezioso. L'informazione è il bene più prezioso, in qualunque senso la si voglia declinare.
L'informazione di cui oggi voglio trattare è quella ambientale o, per meglio dire, ecologica.
La domanda che mi pongo è la seguente: di quante informazioni il consumatore medio è in possesso per valutare l'impatto ecologico delle sue scelte di consumo?
In che modo, ad esempio, io posso conoscere quante risorse sono state impiegate per costruire il mio cellulare o il pc, quanto è costato, in termini ambientali, l'averlo assemblato, quanto costerà il suo smaltimento, quanto costa il suo utilizzo.
Oltre il dato meramente numerico, è interessante conoscere l'impatto complessivo della produzione industriale sulla sociosfera, ovvero, le ricadute, in termini sociali, della attività di produzione di massa.
Per fare un esempio di questo ultimo fattore, siano considerati i costi sociali dello sfruttamento delle risorse nei paesi del terzo mondo (primo, secondo, terzo, ma è una gara?), l'impoverimento delle risorse locali, le guerre di sfruttamento, il lavoro minorile, i flussi migratori....
Di queste informazioni, io, tipico consumatore medio, non sono in possesso e non potrei esserlo.
La cosiddetta globalizzazione rappresenta l'escamotage per delocalizzare la produzione industriale e trasferirla in zone del globo meno controllate o nelle quali i diritti delle persone possono più facilmente essere tacitati a suon di AK47, l'arma prediletta di tutte le fazioni di rivoltosi fomentate ad arte dagli interessi del grande capitalismo internazionale.
Così, difficilmente verrò a sapere della città dei computer in Cina, o del cimitero dei cargo in India, posti infernali nei quali persone (persone, non consumatori, persone!!!) inermi sono immersi nei liquami contaminati da metalli pesanti o chissà quale altra porcheria noi consumatori non abbiamo il coraggio o la convenienza di smaltire a casa nostra.
Via la spazzatura, via tutto ciò che può recare disturbo al nostro senso estetico. Questa è una convinzione inveterata. Ma tutto torna.
Le polveri, i metalli, i veleni tornano a noi in forma di uomini avvelenati ed avviliti che noi sfruttiamo per i nostri lavori più biechi dopo averli ridotti all'impotenza civile con leggi liberticide ed inumane: clandestini...
Perdonate i vaneggiamenti. Veniamo alla proposta scomoda.
Una legge (ma come, direte voi, ce ne sono tante!!!). Una legge che imponga la tracciabilità ambientale del prodotto industriale, che sottolinei le ricadute ecologiche iniziali, contestuali e successive al ciclo di vita del prodotto, e che introduca il valore uomo nella considerazione globale della produzione.
Voglio smettere di essere consumatore (portatore di diritti in quanto consumatore, ho diritto fintanto che consumo... e pensare che la spacciano come una cosa positiva...) voglio essere uomo, cittadino, persona.
Voglio essere informato dei costi sociali delle centrali nucleari e non solo dei costi energetici.
Risparmiare nel brevissimo periodo non vuol dire risparmiare.
Ditemi con chiarezza quante persone devono morire per estrarre l'uranio nelle miniere dell'Africa nera, quanti bambini saranno sfruttati, quanti disperati rischieranno la loro vita per fuggire alla miseria che gli imponiamo per risparmiare (oggi) pochi centesimi per kilowattora...
Ditemelo, lo imploro, lo pretendo, ne ho diritto.
Ditemi quanto sangue c'è sui diamanti che regaliamo alle nostre donne e che imponete come must commerciale del regalo borghese nelle occasioni che “contano”. Quanto conta la vita di un bimbo, di un solo bimbo costretto in miniera?
Quanto siamo disposti a rinunciare per questo? La felicità è nelle cose o nelle persone che ci circondano?
Se un kilowattora meno caro ci deve indurre ad uccidere, violentare, sfruttare, forse è il caso di consumare meno.
Ditemi quanti tumori causerà nel medio-lungo periodo una centrale turbogas, una centrale nucleare di decima o centesima generazione (abbiamo violentato anche la materia primordiale per i nostri scopi), una centrale a carbone.
La legge, inoltre, dovrebbe imporre allo Stato di inserire nel calcolo annuale del PIL (prodotto interno lordo) i costi ecologici dei disastri ambientali di matrice antropica.
Quanto costerà ricostruire i paesini del messinese distrutti dalle frane dello scorso ottobre, quanto costerà riparare le strade allagate, le case distrutte, le vie martoriate dal fango?
Quanto ci costa, in termini di biodiversità, rinunciare ad un bosco o una zona paludosa per farci un centro commerciale?
Quanto ci costa asfaltare il letto di un fiume, in termini di potenziali rischi di esondazione?
Troppo facile calcolare la “crescita” di una nazione solo sulla base di ciò che si produce.
Ciò che viene prodotto finisce, poi, nella spazzatura. Non va via, non sparisce. Resta, c'è!
Troppo facile fingere che il disastro che stiamo contribuendo a creare possa essere liquidato con un artificio contabile, mettendo in conto competenza ciò che è attuale e evidente, quasi tocchi alle future generazioni accollarsi i costi dello sfacelo che stiamo realizzando.
Basta magheggi contabili, basta finzioni pubbliche e private.
Torniamo ad essere responsabili delle nostre scelte, torniamo ad essere persone, non consumatori.

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