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venerdì 26 febbraio 2010

Misty Lane # 2

Caffè letterario


di Roberto Sonaglia.

II.

“This is the way, step inside”, ripetevo come un mantra, sottovoce, quest’invito, che suonava come il monito dantesco, appropriato al luogo. L’Inferno ai piani alti.
Elegante, in penombra, caldo come il grembo prenatale, silenzioso. Il Paradiso? Una faccenda noiosa, al confronto.
Solo un lungo corridoio, pieno di porte e angoli parcamente illuminati, col pavimento di pregiato legno di ciliegio, coperto da tappeti morbidi e spessi, e alle pareti applique liberty dalle strane forme allungate, su toni opalescenti, rischiarati dal brillare di lampadine a basso wattaggio. Un po’ deserta, la situazione, per essere davvero l’Inferno, a meno che i vari gironi, dietro quelle porte, non fossero insonorizzati meglio degli studi di registrazione di Muscle Shoals.
Procedevo altrettanto in silenzio -avevo anche smesso di canticchiare- e mi pareva fossero passate ore, anche se in realtà dovevo aver fatto solo pochi metri, quando percepii, dietro la curva del corridoio, sulla destra, un tonfo ritmico, non molto forte, ma costante.
Girato l’angolo mi trovai di fronte all’origine del rumore: una bimbetta bionda, scalza e con un vestitino nero a fiori bianchi, e gli occhi di ghiaccio, che giocava a tirare una palla bianca contro la parete, facendola rimbalzare e riprendendola, in silenzio, come tutto, in quello strano corridoio.
Mi avvicinai, e vidi, oltre le sue spalle, una porta, che pareva pulsare quasi fosse viva. Superai la ragazzina -e potevo sentire il suo sguardo glaciale fissarmi le spalle, mentre continuava a gettare la palla contro il muro, e a riprenderla- e aprii la porta, entrando nella stanza.
Tenebre fitte, nient’altro. E un’angoscia palpabile, che mi assalì come uno sciame di calabroni impazziti. Sentii il peso di tutti i peccati del mondo, urlati a pieni polmoni dai rispettivi peccatori. Peccati dei quali conoscevo l’espiazione, e altri dei quali non sospettavo nemmeno l’esistenza. Peccati purgatoriali, mortali, e peccati che nemmeno eternità di eternità sarebbero bastate a purificare.
Saltai fuori dalla stanza, istintivamente, portandomi le mani alla fronte. Era insopportabile. Volevo fuggire, lasciarmi alle spalle la bimba con la palla, ripercorrere a ritroso il corridoio col tappeto di velluto e uscire da quell’Inferno. Mi facevano male le spalle, come se il peso di tutti quei peccati premesse contro le mie scapole.
Poi ricordai. E capii che non potevo andarmene. Dovevo tornare là dentro, dentro la stanza, e immergermi in quel pandemonio, ancora una volta.
Mi girai a guardare la ragazzina, che ora sorrideva, sinistramente, e non tirava più la palla contro il muro. Le ricambiai quello sguardo gelido, col mio, altrettanto freddo, ma in fondo al quale iniziavano già a brillare dei fuochi sacri.
Poi mossi il primo passo verso l’entrata scura della stanza, massaggiandomi la schiena, nel punto in cui, un tempo, c’erano le mie Ali.


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