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martedì 23 novembre 2010

Il Pianista Nano


C’è una luce magica negli sconfitti. Letterariamente parlando, ovviamente. L’inetto, il miserabile, il fallito affascina perché è in contatto diretto con il lato marcio dell’esistenza, quello dal quale si fugge continuamente pur sapendo che prima o poi una bella strada senza uscita capiterà anche a noi.

Il problema, nel migliore dei casi, è lo scorrere del tempo; la sfortuna, nel peggiore. Fatto sta che, sicuramente, chi è stato o è con la tutt’altro che odorosa e maledetta M fino al collo, ha sempre qualcosa di più interessante da raccontare e, perché no, insegnare.

Sono i miserabili, vittime dei peggiori e più complessi intrecci, i veri protagonisti della grande letteratura. Forse per un caso fortuito o più probabilmente per un’attenta volontà d’analisi del fenomeno, Luca Palumbo, nel suo esordio letterario, la raccolta di racconti Il pianista nano (0111 Edizioni) conferisce, di volta in volta, lo scettro di protagonista ad una diversa tipologia di sconfitto.
Il povero Carmelo de Il prato in mezzo al mare, innamorato di un’alunna tredicenne fino ad abbandonare il tanto agognato equilibrio in favore della follia, sceglie di abitare un luogo senza possibilità d’esistenza perché è l’unico dove il suo sentimento non possa essere biasimato (in primo luogo da se stesso); Il giovane Sandrino, a tu per tu con l’alzheimer e con la memoria del signor Barbozzo, sprofondata nel pannolone (La memoria del pannolone), indaga la vecchiaia come la più naturale forma di miseria; voluta dal tempo, contrappeso forse ingiusto ma necessario di una passata giovinezza; E ancora l’amore dimentico di dignità che diventa ossessione in Trentanove e mezzo di febbre; la fuga dickensiana de Il piccolo Bacco, svenduto a centocinquantamila euro dai genitori per riempire gli stomaci gorgoglianti; la solitudine della disperata Marlene, consolata solo dalle note di un piccolissimo e galante pianista (Il pianista nano), le avventure del bistrattato musicista ufficiale di Gesù, Serafino, il tredicesimo apostolo, che predicava con ironia in giorni in cui per i sorrisi non c’era spazio, fino allo sfigatissimo Porfirio Scalogna, costretto a letto da un male misterioso e litigato dalla Vita e la Morte che, al suo capezzale, se ne dicono, letteralmente, di tutti i colori (Lite al capezzale); una carrellata di disgraziati, sette anime per un solo peccato: l’essere umani e soggetti, per questo, a tutte le intemperie emotive e le vicissitudini materiali, senza alcuno scudo se non la musica, altro grande palliativo dell’esistenza e, più importante, l’ironia.

Luca Palumbo
, in linea con un genere che la letteratura italiana ha sempre apprezzato e, c’è da dire, saputo ben produrre, sceglie il grottesco per la rappresentazione dei drammi umani che decide di portare sulla pagina. Le situazioni in cui i suoi personaggi sono immersi, raccontati attraverso una scrittura molto fluida, in alcuni frangenti certo perfezionabile, ma indubbiamente piacevole, spingono il limite dell’umanamente sopportabile fino al tragicomico, in costante bilico tra un sorriso ed un broncio.

Si tratta di una mossa intelligente che permette al lettore una doppia riflessione: da una parte si ha la possibilità di leggere storie certo non felici, ma neanche appesantite da un linguaggio eccessivamente retorico, vergognandosi anche un po’ constatando che in fondo, in confronto ai vari Carmelo, Bacco, Serafino e Porfirio, a noi proprio così male non va; mentre da un’altra prospettiva i racconti sottolineano come la rappresentazione del proverbiale inetto (che qui tende forse eccessivamente allo “sfigato”) permetta di indagare quelle pieghe dell’animo umano che a fronte di un’esistenza normale e un po’ piatta non hanno la possibilità di emergere, allorquando piccoli e grandi drammi arricciano il tessuto dell’esistenza, drammatizzandola ma anche movimentandola.

Luca Palumbo
, con questa sua opera prima tra il tragico e il surreale, costruisce un teatro di parole in cui far esibire maschere corrucciate che, pur di non assistere alla calata dell’ultimo sipario sulla scena, inarcano un po’ i bordi delle labbra, con la speranza che, di fronte ad un sorriso, qualche lacrima possa risparmiarsi il proverbiale salto nel vuoto.

Luca Palumbo è nato a Napoli nel 1976. Attualmente vive e lavora a Roma con i rifugiati politici. Il "Pianista Nano" è il suo primo libro. Ha anche pubblicato il racconto "Il Risveglio nell’antologia The Clash – Storie di lotte e di conflitti", con Luigi Lorusso Editore. In passato ha collaborato con la rivista di satira e umorismo "L’Interruttore", della città di Isernia.

Il pianista nano
Autore: Luca Palumbo
Casa editrice: 0111 Edizioni
Pagine: 98
Prezzo: 12 €



www.fuorilemura.com/

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