Creativity Papers blog
Rivista di scrittura creativa, notizie e approfondimento

Ultimi articoli

lunedì 6 giugno 2011

La Cina dei cambiamenti

Dal socialismo reale al socialismo di mercato



di Andrea Pili

In Occidente si è generalmente concordi nell’avversare la Repubblica Popolare Cinese; i liberali, i moderati e la zona grigia guardano ad essa come uno stato autoritario e repressivo. Gli epigoni romantici del marxismo-leninismo vedono nella Cina di oggi il frutto del tradimento del maoismo, ovvero della retta via di un socialismo popolare ed egalitario.
È chiaro che l’opinione sulla Cina del XXI secolo sia viziata dalla memoria del maoismo. Infatti, pur non essendo un modello di democrazia o di giustizia sociale, è senz’altro vero che la Repubblica Popolare oggi si presenta meno autoritaria e crudele, così com’è meno povera e affamata rispetto all’epoca del socialismo reale. Altro luogo comune che va sfatato è quello che vede la Cina come un paese improvvisamente passato dal comunismo al neoliberalismo. Ebbene, se il paese della Grande Muraglia non è più comunista , non si può dire che sia neoliberista.
Il socialismo di mercato ha avuto un parto molto doloroso, essendo concepito dagli errori dell’economia maoista e dai crimini del Grande Timoniere. Infatti, Mao aveva sbagliato a causa del suo approccio totalmente idealista e fanatico ai problemi del paese.
Il simbolo del fallimento economico è il Grande Balzo in Avanti (1959-1962) in cui si è fatta l’industrializzazione del paese, persuadendo i contadini ad abbandonare i raccolti per costruire dei grandi altiforni siderurgici, danneggiando ulteriormente il sistema delle comunità agricole. A fronte di questo ci fu una grande carestia e il numero delle vittime si aggirerebbe intorno a 37 milioni.
All’epoca, un contadino viveva mediamente con sole 1500 calorie giornaliere. Le fabbriche erano rette da funzionari incompetenti provvisti di soli meriti ideologici. Il malcontento popolare – specie nei giovani – ed il progressivo eclissarsi di Mao dalle stanze del potere, costrinsero il grande leader a elaborare la Rivoluzione Culturale (1966–1976). Durante questa, le masse ideologizzate e fanatizzate dalle guardie rosse, furono scagliate contro i funzionari e gerarchi ritenuti responsabili della situazione critica del paese. In tale epoca il sistema della università e della ricerca fu praticamente distrutto, con i conseguenti danni economici che ben si possono immaginare.
All’inizio degli anni settanta, spinta anche dalla vicinanza ostile dell’Unione Sovietica, la Cina fu costretta ad aprire le relazioni con l’Occidente e a cercare il riconoscimento internazionale. Così, Chou En Lai organizzò la visita del presidente Nixon a Pechino nel 1971. Dopo questo incontro la Cina comunista si guadagnò il diritto di entrare a fare parte delle Nazioni Unite. Il suo seggio – fino ad allora – era riservato ai rivali di Taiwan.
Nel 1971 venne siglata la riapertura dei rapporti tra un grande paese dinamico e capofila della produzione economica mondiale ed un grande paese povero, i cui abitanti guadagnavano 31 dollari all’anno, e la cui alimentazione faceva spesso a meno della carne (nel 1976 solo 5 milioni di maiali e 12 milioni di polli venivano allevati). Quarant’anni dopo la Cina sorpasserà gli Stati Uniti come primo produttore mondiale.
Nel 1976 Mao Tze Tung muore. Si aprono nuovi scenari per la gestione del partito comunista. La testa del fanatismo maoista – la Banda dei Quattro – fu decapitata con uno spettacolare processo. Il cosiddetto 'deviazionista di destra' Deng Xiaoping, sino a poco tempo prima escluso dai ranghi del comando e costretto a fare l’operaio, ritornò in auge e alla fine degli anni ’70 divenne capace di controllare il Partito e lo Stato, pur essendo “solo” il capo di stato maggiore dell’esercito.
Deng si distingue da Mao a causa del suo pragmatismo, dalla sua capacità di uscire dall’ortodossa interpretazione maoista del marxismo-leninismo per adeguare il PCC alle esigenze della Cina. L’obiettivo era quello di far uscire il paese dalla crisi in cui le politiche di Mao l’avevano cacciato: solo così, pertanto, il Partito avrebbe conservato il potere. Per fare ciò era necessario scardinare le due costanti maoiste: le comuni agricole e l’anticapitalismo autarchico.


Nel 1978 il Quotidiano del Popolo si espresse a favore della creazione del profitto e della libertà d’arricchirsi; stesse aspirazioni erano comparse in molti dazebao1. Il passaggio dal comunismo all’economia di mercato doveva essere graduale, in tal modo Deng, dal 1979 al 1981, iniziò il cambiamento abolendo le comuni agricole. Le terre agricole rimangono proprietà dello stato, ma i contadini possono allevare privatamente, affittare terreni e vendere i prodotti coltivati sul mercato cittadino e anche allo stato.
Lo smantellamento delle comuni non è guidato dal potere centrale ma – in ossequio alla 'gradualità' – dalle autorità pubbliche locali. Furono create le ZES (Zone Economiche Speciali) per attirare gli investimenti stranieri. Sino agli anni ’90 sono state concesse terre alle industrie straniere senza sottoporle a regolamentazioni, per compiere in tali aree i primi esperimenti di capitalismo in Cina. La ZES più famosa è quella di Shenzhen, nel Guangdong, nata nel 1978 ed emblema del brutale sfruttamento a cui – per mezzo di fabbriche appaltate da multinazionali straniere – gli operai sono stati sottoposti in queste aree, comunque non diffuse in tutto il paese. Tuttavia, molti milioni di persone, grazie alle ZES, hanno cominciato ad accumulare denaro e a migliorare la propria condizione di vita. Utilizzate come un estrema necessità dalla fine degli anni ’90, queste zone si avviano ad essere trasformate in imprese industriali guidate dalle autorità locali. Il prezzo pagato è stato alto: 13 ore di lavoro giornaliero, diritti privati, danni all’ambiente.
Nel 1989, con la protesta studentesca di Piazza Tien An Men, parve che la 'democratizzazione' dei paesi comunisti dovesse investire anche la Cina. Il Partito Comunista andò invece avanti con la sua politica di riforme graduali e di conservazione del potere. La fine della protesta è cosa nota: la cosiddetta “Primavera di Pechino” fu repressa nel sangue e fu reso chiaro a tutti che la riforma economica non avrebbe portato ad un mutamento politico.
Tale evento segna bene la strada cinese rispetto a quella dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti. Le riforme politico-economiche di Gorbaciov provocarono la rinascita dei sentimenti nazionalistici e la richiesta di libertà individuali. I partiti comunisti furono incapaci di trattenere i propri popoli e si condannarono a morte. Ma la fine del comunismo non coincise né con l’avvento delle libertà politiche, né con la costituzione di un sistema economico più giusto. In Russia e in Polonia – ad esempio – lo stato si ritirò progressivamente dall’intervento in economia, fino a ridursi a guardiano delle multinazionali straniere o dei magnati locali. Si generarono altissimi tassi di disoccupazione e di povertà. Tutto ciò fu reso possibile perché la classe politica di questi paesi, buttato all’aria il socialismo, abbracciarono senza esitare i dettami del FMI (Fondo Monetario Internazionale) che portarono i propri paesi alla rovina.
Anche in Cina le multinazionali occidentali – come nell’est post-comunista – hanno ottenuto benefici dall’abbattimento del costo del lavoro (tanto che gran parte delle esportazioni cinesi è dovuto alle succursali cinesi di imprese straniere). C’è però una distinzione fondamentale: la gerarchia di Pechino comprese l’importanza del ruolo statale. Lo stato continuò a svolgere un ruolo fondamentale nell’economia cinese e si pose, nei confronti delle multinazionali, non come un servo, ma come socio. Il Fondo di Stato Cinese (Chinese Investment Corporation) ha investito 9,6milioni di dollari in grandi aziende quali: Apple, Coca Cola e Visa.2 Inoltre, il governo cinese non ha mai accettato di applicare le politiche del FMI, ma ha sempre agito indipendentemente. Oggi sappiamo che ha fatto bene. La Cina – grazie al ruolo dello stato, la cui importanza è ben radicata nell’identità nazionale dagli insegnamenti di Confucio, fino alla concezione maoista di uno stato al servizio del popolo – si è salvata dalle tre grandi tragedie economiche degli ultimi vent’anni (che, invece, non hanno risparmiato i paesi neo-liberali). La politica neo-liberale nell’est post-sovietico (72 milioni di persone sotto la soglia di povertà solo in Russia), la crisi asiatica (1997-98) e la crisi del 2008.


Le ultime due crisi – le più gravi della storia dopo quella del 1929 – non hanno toccato la Cina a causa di un'altra caratteristica fondamentale del socialismo di mercato: il controllo statale delle finanze. Mentre Thailandia, Indonesia, Malesia, Filippine e Sud Corea crollarono a causa dell’apertura sciagurata alla speculazione monetaria straniera, e l’Occidente (in particolare gli USA) dovettero inginocchiarsi a causa della deregolamentazione dei mercati finanziari, la Cina crebbe inesorabilmente fino a diventare – nel 2010 – il primo paese al mondo per PIL.
Il successo è innegabile: 400 milioni di cinesi sono usciti fuori dalla soglia di povertà; la Cina è il primo produttore siderurgico mondiale e il primo produttore al mondo di computer e telefoni cellulari. Rispetto all’epoca maoista si è raddoppiata la produzione agricola e si è notevolmente potenziato l’allevamento (nel 2006, 508 milioni di maiali e 13 miliardi di polli). Inoltre, l’Occidente è stato sorpassato nei rapporti commerciali con l’Africa: il suo paese guida – gli Stati Uniti – è indebitato con la Cina di 2500miliardi di dollari; lo studio nella Repubblica Popolare dura il 30% in più.
Tuttavia, la Cina di oggi ha un grande problema: la disuguaglianza. Questo è l’elemento più simile tra i cinesi e gli occidentali. Sotto Mao vi erano pochissimi privilegiati sopra una massa di poverissimi ed il rapporto dei guadagni tra cittadini e rurali era 1,8 su 1. Oggi, invece, c’è una forte diseguaglianza massificata: 200 milioni di benestanti e consumisti cittadini e 800 milioni di abitanti nelle campagne. Anche se tutti i cinesi stanno meglio e sono molto più ricchi rispetto a trent’anni fa, un pezzo di società è enormemente più in alto rispetto a un altro. Il rapporto dei guadagni tra un cittadino rurale è pari a 4 su 1. Come in Occidente, la diseguaglianza sociale ha generato delle inquietudini gravi nei soggetti più deboli che hanno abbandonato le campagne per le città.
Dall’altra parte, il popolo cinese sta conoscendo una certa vivacità politica, prima sconosciuta. Organizzazioni non governative – finanziate dallo Stato – svolgono una grande opera di assistenzialismo, specie in campo sanitario, dopo che il governo ha tolto tale sostegno e le pensioni. Inoltre, il governo comunista ha mostrato interesse alle rivendicazioni salariali e anche di essere in grado di far pressione sulle grandi aziende3: i salari operai sono aumentati – dal 2002 al 2008 – di circa il 10%, mentre nel luglio 2010 uno sciopero operaio si è concluso dopo che la Honda ha concesso aumenti salariali del 47%.
La Cina del 2011, pur con tanti difetti, sembra piuttosto aperta ad evolversi da sola. Il suo obiettivo principale è quello di diventare il principale produttore di energia verde. I progetti energetici sono stati blindati: solo banche cinesi – quindi solo i risparmi delle famiglie e delle imprese autoctone – possono finanziarli. C’è un grosso problema da affrontare però: l’inflazione, cui il primo ministro Wen Jiabao vuole rispondere con la rivalutazione dello Yuan. Inoltre, dopo sei anni il bilancio della Cina è tornato in rosso.
L’analisi del cambiamento cinese, e del suo successo economico, deve spingere l’Occidente a riconsiderare il ruolo economico dello stato, fin troppo vilipeso negli ultimi trent’anni dall’ideologia liberale imperante. Ma ci pone anche un grande interrogativo: il benessere sociale dipende dall’arricchimento dei singoli?




1 Manifesto o giornale murale scritto a mano, usato come strumento di propaganda o di denuncia politica dagli studenti cinesi durante la Rivoluzione culturale.
2 I profitti ricavati dalle partecipazioni sono stati utilizzati per progetti ambientali, energetici e sfruttamento delle materie prime, come i metalli rari.
3 Lo stesso non si può dire dei governi occidentali.

Nessun commento:

Posta un commento