Una visione obiettiva
di Alessandro Sasso
Proviamo ad immaginare un mondo dove ogni singola famiglia, DICO, gruppo di amici e quant'altro siano in grado di produrre energie da immettere in tutta la rete della comunità, racimolando così un sussidio da parte delle aziende produttrici tradizionali. Proviamo ad immaginare un mondo dove piante come la Canapa Indiana1 possano essere utilizzate come combustibili per le auto, fibre analoghe a quella di carbonio, medicine, e tanta allegria.
Un mondo pensato attorno alla filosofia del pire to pire, dove si produce per la comunità reale e la comunità progredisce per innalzare la dignità umana, non il PIL. Questo mondo è pensabile, oltre che possibile. I motivi per cui si preferisce investire ancora sul fossile – oggi in particolar modo sul nucleare – sono gli stessi per cui ieri si investiva sul petrolio e l'altro ieri sul colonialismo più becero. Le ragioni dello sviluppo e del profitto. Si tratta di un modo di vedere la realtà vecchio e suicida. Ormai abbiamo gli anni contati. Non lo dice una setta di millenaristi, lo dice la scienza. Scusate se è poco.
Stando al rapporto della British Petroleum, dei 139.000 miliardi di Kw/h giornalieri che consumiamo, l'88% circa proviene dal fossile (carbone, gas, uranio, ecc.). I paesi industrializzati che rappresentano il 25% della domanda mondiale, consumano i 3/4 delle riserve mondiali. Di questo passo ai livelli attuali si raggiungerebbe l'esaurimento dei giacimenti. Le scorte di petrolio sono in esaurimento entro i prossimi cinquant'anni; quelle del gas entro i prossimi sessantuno anni; quelle di carbone entro i prossimi ottant'anni.
Il problema è che non esiste solo l'occidente. La domanda ormai si sta allargando in Asia con le nuove potenze industriali, come la Russia, la Cina e l'India. Per non parlare, poi, del Sud America che già progetta un'unione monetaria, sulla falsa riga dell'Unione Europea. In questo modo si prevede una triplicazione dei consumi che portano a stime più ridotte di quelle elencate precedentemente. Entro diciassette anni quelle del petrolio, entro venti quelle di gas e ventotto anni quelle di carbone.
Il Prof. Luciano Burderi, docente di astrofisica delle alte energie all'Università di Cagliari, fornisce una stima aggiornata, considerando la crescita media del PIL e quella delle riserve fossili: il petrolio si esaurirà entro trentuno anni, il gas entro i trentaquattro anni e il carbone entro trentasei anni. I prezzi non diminuiscono, ma crescono stabilmente, segno che il picco sta per essere raggiunto. Il nucleare non è una risposta. Equivale a nascondere la polvere sotto il tappeto.
Tanto per cominciare l'automobile a uranio non esiste. Nemmeno stabilimenti industriali convertibili al nucleare. Esistono, invece, i primi prototipi di auto elettriche e si studiando i motori a idrogeno2. Non sono in grado di farci vincere il gran premio di formula uno, ma almeno non rischiamo di creare una catastrofe nucleare ad ogni ingorgo stradale. Il problema non è "radiazioni o scorie," le centrali di 4^ generazione infatti rilasciano ogni anno un numero di scorie molto basso e sono sicure. Certamente questa è una regola che vale in teoria, la pratica non è perfetta come una formula matematica. Pensiamo, dunque, ai problemi di salute degli operai nelle centrali francesi, o l’ultimo disastro in Giappone, in cui sono saltate fuori diverse scorrettezze. E’ legittimo chiedersi che cosa succederebbe in un paese come l’Italia, in cui si diluisce il cemento e si lucra riempiendo di spazzatura un’intera città. Il problema, in generale, è che le centrali non sono una soluzione, ma un ulteriore politica della 'polvere sotto il tappeto'. Un palliativo che non tiene conto del problema di conversione di tutto l'apparato industriale al nucleare, una politica che sotto-sotto, ancora spera e sogna nei fantomatici 'giacimenti petroliferi nascosti'. Senza contare che affideremmo ad una sola risorsa tutto il fabbisogno energetico; portandola inevitabilmente all'esaurimento.
Ci basterebbe sfruttare 1/10 di tutta questa energia. Luciano Burderi assicura – dati alla mano – che le tecnologie esistono già: solo i pannelli solari ci darebbero mille volte l'energia prodotta oggi col fossile. Se per esempio si ricoprisse una superficie pari al 6% del Sahara di pannelli, risolveremmo per sempre il fabbisogno energetico mondiale. Il problema vero è che il solare è intermittente, (di notte manca) basta a fermarci? No, l'energia dai tempi della pila di Leida, può essere accumulata. Occorre una rete flessibile secondo lo schema ricevo-immagazzino-rilascio. Tutte le plusvalenze di energia che il singolo non consuma vengono accumulate e rilasciate la notte. In questo modo si fa concorrenza alle Sette Sorelle petrolifere. Si guadagna pure. Infatti lo stato attraverso i contatori calcola l'energia non consumata e accumulata dai nostri pannelli domestici. Burderi prende come esempio la Sardegna; suggerendo un programma politico concreto. Utilizzando strutture preesistenti, che nel lago Omodeo esistono dai tempi del fascismo. Funziona in modo semplice e per niente nuovo: tutta l'energia rilasciata non consumata viene usata per riempire con le pompe il lago di giorno. La notte la quantità di acqua pompata viene rilasciata azionando le turbine della centrale elettrica. I capitali che la Sardegna oggi spende per comprare energia dagli altri paesi, li investirebbe per finanziare i conti pubblici: ospedali, scuole e trasporti pubblici, (questi ultimi sono il futuro, visto che le auto ce le potremo scordare). In questo modo la Sardegna sarebbe la prima isola energeticamente autonoma.
Il contro di energie rinnovabili come l’eolico e il solare è che oggi sono molto diluite e, appunto, intermittenti. Tutto dipende non solo dal ciclo notte-giorno, ma anche dalle condizioni meteo. Nella rete elettrica non è possibile elargire energia in tempi casuali, per tanto sarà necessario investire nella ricerca di nuovi tipi di accumulatori più economici, che riducano questa intermittenza. Le eventuali spese per il loro impianto potrebbero benissimo essere compensate dalla fruizione di energia prodotta dalle singole case, o dalle pale eoliche. La filosofia è quella del pire to pire. Pago l’energia che consumo e guadagno su quella che produco. Il problema estetico delle pale eoliche può essere risolto invece costruendo gli impianti al largo delle coste. L’Enel aveva in progetto la costruzione di una piccola centrale eolica da 50 MWatt a sud delle coste siciliane, per esempio.
C’è una speranza anche per le automobili, ed è il bioetanolo, producibile da diversi tipi di vegetali, come la barbabietola, il mais, altri tipi di cereali e canna da zucchero. Già oggi è possibile diluirci la benzina, come previsto da alcune direttive europee. Inoltre esiste già la possibilità di produrre auto al bioetanolo. Il vantaggio non sarebbe solo economico ma anche ambientale; col bioetanolo, infatti, le emissioni di anidride carbonica di fatto non ci sarebbero, in quanto la CO2 emessa sarebbe quella precedentemente assorbita dalle piante con cui il carburante è stato prodotto. Un saldo pari a zero. Esiste anche il biodiesel, che si ottiene dalla lavorazione di oli vegetali ricavati da colza, soia, girasole, palma e alghe.
Per quanto possa sembrare melenso dirlo, la più potente fonte energetica siamo noi. Progettare case coibentate, fresche d’estate e che trattengono il calore d’inverno, ridurrebbe considerevolmente i consumi. Senza contare il grande potenziale di competenze che oggi rimangono inutilizzate: quelle dei giovani. Già l’eolico è considerato un settore competitivo. Una burocrazia meno cieca permetterebbe anche al fotovoltaico di diffondersi e, quindi, di creare nuovi posti di lavoro. Idem dicasi per il riciclo, che riducendo i rifiuti, riduce anche i costi per smaltirli: quindi il consumo di energia speso solo per questo.
1 un vegetale che può essere coltivato anche nelle regioni temperate
2 In particolare il problema della produzione e conservazione in larga scala di questo gas.